venerdì 1 luglio 2016
Austen Ivereigh, fondatore di Catholic Voices: «Si è creato un clima di paura e rabbia. Che si è sfogato così. Invece, si è aperta una fase di assoluta incertezza».
Se l'informazione dimentica i «no global» (Angelo Scelzo)
Brexit, «ora l'Ue interpreti la svolta»
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Le Chiese lo andavano dicendo da tempo: la politica torni ad ascoltare la gente. L’avesse fatto per tempo, staremmo considerando tutt’altro scenario, ma ora la situazione è questa: e di qui potrebbe passare una “chiamata” per l’Europa e i credenti. È il senso della riflessione di Austen Ivereigh, giornalista cattolico tra i più noti in Inghilterra per aver fondato Catholic Voices, esperienza di difesa e promozione nel dibattito mediatico dei grandi valori umani ispirati dal cristianesimo (in Italia è sbarcata da un anno, e si sta rapidamente facendo apprezzare grazie a lui e alla sua coordinatrice Martina Pastorelli). Se si rivotasse domani, andrebbe davvero diversamente? Le faccio un esempio personale. Un mio vicino, stufo del “centralismo europeo”, ha votato per il Leave. A risultato acquisito, l’ho incontrato con una faccia livida. “Non è contento?”. E lui: “Ma io non pensavo che avrebbe vinto davvero il no alla Ue…”. Ecco, credo sia quello che hanno pensato molti miei connaziona-li, inclusi, a quel che vedo, tanti leader della campagna per la Brexit. Negli ultimi anni ci sono stati troppi cambiamenti, e troppo rapidi, perché non si creasse un clima di paura e di rabbia. Che si sono sfogate così, pensando di riprendere in mano la realtà. Ironicamente, il voto ha aperto una fase di assoluta incertezza, l’esatto contrario di quel che si voleva. In questi giorni si sono ascoltate e lette infinite interpretazioni. A suo avviso cos’ha davvero causato un esito tanto inatteso? Il voto ha sollevato il velo su “due Inghilterre”: la prima vede benefici nella globalizzazione e nell’integrazione europea, specie nelle città e tra gli strati della popolazione più benestanti, giovani e istruiti. Ma c’è un Paese “di mezzo” molto composito accomunato dal timore che tutto quel che sta succedendo non garantisca più quelle poche sicurezze sulle quali si faceva affidamento. Il fronte del Leave, per quanto caotico, alla fine si è raccolto attorno a una narrazione chiara della realtà che ha fatto presa su queste ansie, a cominciare dal “take back control”, riprendiamoci il controllo della situazione, mentre la risposta del Remain è stata semplicemente quella degli esperti di que- stioni finanziarie e internazionali che mettevano in guardia dalle conseguenze di un’uscita. Avevano ragione, come stiamo vedendo, ma non sono riusciti a farsi credere: è sembrato che parlassero per i loro interessi e privilegi. Perché la Ue non riesce a convincere i suoi cittadini, non solo in Inghilterra? La Ue è troppo lontana, burocratica, arrogante. La stessa accusa rivolta a molti governi nazionali, certo, con la differenza però che in patria sappiamo di poter mandare a casa una maggioranza detestata mentre la macchina di Bruxelles è inafferrabile, si sottrae alla responsabilità. Ma il problema è più profondo: la Ue è venuta meno al suo principio costitutivo di sussidiarietà: piuttosto che costruire istituziotativo ni civiche intermedie a livello locale e rispettare la pluralità delle tradizioni e dei costumi, ha pensato di poter imporre un modello unico di governo. Che è stato visto come un’interferenza. Qual è il “male oscuro” svelato dalle urne? L’Unione oggi soffre di quello che il Papa definisce il “paradigma tecnocratico”: è diventata un mercato di Stati cessando di essere un progetto politico e culturale. Manca di un ethos. Quello che è appena successo nel mio Paese mostra che Francesco ha assolutamente ragione quando dice, come ha fatto al Parlamento di Strasburgo e ricevendo il premio Carlomagno, che la Ue necessita di una rifondazione a partire dai suoi princìpi, recuperando una visione cristiana e democratica di solidarietà e sussidiarietà. Il Papa l’ha ripetuto domenica tornando dall’Armenia: ora va trovata una “nuova forma di Unione” che permetta una maggiore flessibilità e una “salutare disunità”. In breve: la Ue deve abbandonare il ten- di forgiare un enorme Stato federale e optare per una unione il cui ideale e modus operandi sia riconnettersi con la gente. Anche i cattolici sembrano essersi divisi a metà. Eppure i padri fondatori erano credenti… Catholic Voices ha organizzato una settimana prima del voto un dibattito tra politici cattolici impegnati su entrambi i fronti referendari. Siamo partiti da una domanda: è vero che i valori dei cattolici sono meglio serviti se il Regno Unito resta nella Ue? Ebbene, al termine di una serrata discussione le 150 persone del pubblico si sono espresse in maggioranza per il Leave, motivandolo col fatto che la Ue ha tradito le sue fondamenta cristiane e che così com’è pare incapace di riformarsi. Da convinto sostenitore del Remain, sono rimasto choccato, ma ho capito che il Leave era più convincente, anche per i cattolici, e che davvero l’esito era tutt’altro che scontato. Come si è visto. Ha pesato a suo avviso tra i cattolici l’insistente intromissione della Ue in questioni etiche delicate? Conosco cattolici convinti che senza la Ue non avremmo le nozze gay e che non staremmo neppure a discutere di eutanasia, ma sono convinto che sbaglino. Le questioni decisive sono altre, credo che i temi etici non abbiano pesato nel voto quanto il mito protestante dell’autosufficienza e della nostra presunta capacità di resistere da soli. I vescovi, che pur essendo in maggioranza per il Remain sono rimasti neutrali, ci stanno dicendo che ora conta soprattutto il rispetto reciproco: 33 milioni di cittadini si sono espressi, bisogna prendere atto del risultato. Le Chiese, e non solo quella cattolica, hanno ora un ruolo importante nel convincere la gente a guardare avanti senza dividersi ancora sull’ipotesi di rivotare, di ripensarci, di separarci. Domenica mi hanno chiesto di scrivere le intenzioni per la preghiera dei fedeli: e ho invitato tutti a pregare per imparare ad ascoltarci e a rispettarci, chiedendo che i nostri leader comprendano la paura della gente espressa nel voto. Abbiamo causato come inglesi incertezza non solo al nostro Paese ma a tutta Europa: come cattolici che condividono lo stesso continente ora dobbiamo pregare gli uni per gli altri.
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