giovedì 9 luglio 2015
In carcere dal 2012 è stato condannato dieci anni e a 1000 frustate per apostasia. Appello di Amnesty. Sempre più adesioni alla petizione italiana.
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Delle mille frustrate cui è stato condannato Raif Badawi ne restano ancora 950 dopo la prima “tranche” inflitta al 31enne attivista saudita il 9 febbraio scorso e dopo la conferma della pena da parte della Corte Suprema saudita arrivata ai primi di giugno. Il reato è quello di apostasia, commesso nel 2008 e accertato dalle autorità saudite nel 2012, quando il giovane venne arrestato anche per offesa all’islam, crimini informatici e disobbedienza verso il padre (che in Arabia Saudita è considerato un crimine). Nella realtà dei fatti, però, il delitto di cui si sarebbe macchiato Badawi consiste nell’aver creato un sito Internet: Liberal Saudi Network (ora chiuso). Un forum che incoraggiava il dibattito su questioni religiose, politiche e sociali nel Regno. Alla pena corporale va aggiunta anche quella detentiva, 10 anni di carcere, e una multa pari a un milione di Riyal (poco più di 250mila dollari americani). La sezione Italiana di Amnesty International, che ha dichiarato Badawi “Prigioniero di coscienza”, si è mobilitata ieri con una lettera diretta a Rayed Khalid Krimly, ambasciatore straordinario e plenipotenziario del Regno dell’Arabia Saudita in Italia: «Nel sacro mese del Ramadan, dedicato alla preghiera e alla compassione, vogliamo rivolgere un appello al senso di umanità e alla saggezza di Sua Maestà Salman bin Abdel Aziz Al Saud, affinché Egli prenda la decisione di rilasciare Raif Badawi – si legge nella missiva che tra i firmatari annovera il direttore di Avvenire Marco Tarquinio, quello de La Repubblica Ezio Mauro e il direttore del Tg2 Marcello Masi oltre a numerosi altri esponenti del mondo dei media e della cultura. – È nostra convinzione che Raif Badawi abbia esercitato il suo diritto alla libertà di espressione, pubblicando su su Internet opinioni e commenti che non abbiano causato danno alla reputazione del Regno né alla religione professata dalla popolazione». Nel frattempo le condizioni di salute di Badawi peggiorano, la moglie Ensaf Haidar l’aveva già denunciato a febbraio dal Canada dove le è stato offerto lo status di rifugiata e dove risiede insieme con i tre figli: «Le condizioni di Raif non sono buone e peggiorano di giorno in giorno – aveva detto nel corso di una conferenza stampa ad Ottawa – Sono molto preoccupata, non è possibile per un essere umano sopportare 50 frustrate alla settimana». Una quantità impressionante per una punizione fuori dal tempo e dai limiti imposti dalla dichiarazione dei diritti umani. Tanto per offrire un termine di paragone, la legge ebraica, come scritto nel Deuteronomio, imponeva quaranta frustate meno uno e già nel VI secolo avanti Cristo si credeva che un numero maggiore potesse compromettere la vita del condannato. Badawi tra l’altro soffre di ipertensione, difficile credere che possa resistere alle venti “rate” in cui la fustigazione è stata diluita. Secondo il Pew Reserch Center (think tank americano di informazione statistica) sono ancora venti i Paesi il cui codice penale contempla il reato di apostasia, molti altri però utilizzano leggi simili, come blasfemia o insulto alla religione, per perseguitare e punire gli apostati.
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