sabato 24 gennaio 2015
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Apparentemente, la successione si è svolta nel miglior modo possibile, senza faide di palazzo. Il Consiglio di fedeltà (bayaa), che riunisce una trentina di figli e nipoti del fondatore del regno wahhabita, si è convocato d’urgenza e si è espresso sui nomi del successore e del suo erede al trono – rispettivamente Salman e Muqrin – appena un’ora dopo l’annuncio delle morte. In verità, tali nomi erano già stati approvati sin dal giugno 2012, ossia dalla morte del principe ereditario Nayef. Anzi, Salman è il primo re saudita impedito di scegliere autonomamente il proprio vice. Eppure, una grande sorpresa c’è, e riguarda la designazione di un nuovo vice principe ereditario, nella persona di Muhammad bin Nayef, attuale ministro dell’Interno. Si tratta della prima nomina ad attingere dalla seconda generazione di principi. Dal 1953 a oggi, infatti, si sono alternati al trono solo dei figli di re Abdulaziz, il fondatore del regno. Tale passaggio dalla prima alla seconda generazione era naturalmente d’obbligo, visto che il 69enne Muqrin è il più giovane tra i figli viventi di Abdulaziz, ma l’argomento era stato a lungo evitato, in quanto suscettibile di attizzare le lotte al potere scatenatesi in passato.  Per ora non ci sono elementi sul grado di consenso raccolto da Muhammad all’interno del Consiglio bayaa, eppure rimane chiaro che la scelta sia indice della vittoria di un clan preciso, quello dei cosiddetti “Sudairi”, di cui fa parte lo stesso nuovo re. I Sudairi sono l’espressione di un’alleanza di sangue tra 7 principi nati dalla stessa madre, che comprendeva Fahd (re dal 1982 al 2005), ma anche Sultan e Nayef, sfortunati eredi al trono di Abdallah deceduti rispettivamente nel 2011 e 2012. Tra i rivali figurano i figli di re Faisal, Saud (da 40 anni ministro degli Esteri) e Turki. Secondi alcuni osservatori, il capitolo successione non è affatto scongiurato. Non solo in considerazione della fragile salute di re Salman, ma anche delle taciute contestazioni riguardo l’ascesa di un “outsider” come Muqrin, figlio di una concubina yemenita mai annoverata tra la ventina di spose legittime di Abdulaziz. Lo Stato islamico. La morte di re Abdallah interviene poco dopo il primo attacco a un posto di frontiera saudita da parte dell’Is. Indice della difficile “eredità” lasciata da Abdallah al fratello. Riad pensa di potere arginare la minaccia jihadista con la costruzione di una “grande muraglia” lungo il confine con l’Iraq, ma il Califfato bussa anche ideologicamente alle porte dell’Arabia. La “legittimazione” islamica invocata dal sovrano saudita in qualità di Custode delle due moschee sacre (a La Mecca e Medina, ndr) è contestata ogni giorno dai seguaci di Abu Bakr al-Baghdadi, che accusano Riad di dare manforte all’alleanza «crociata» contro l’Is. Dopo la morte di re Abdallah, sui siti jihadisti sono arrivate grida di giubilo e insulti al defunto, ritratto in atteggiamenti cordiali con leader mondiali «nemici dei musulmani», da Bush a papa Benedetto XVI. La crisi yemenita. La morte di Abdallah coincide anche con il disfacimento del vicino Yemen. La conquista della capitale Sanaa da parte delle milizie Houthi prima, poi le dimissioni del presidente Hadi e del suo governo, rappresentano per Riad un doppio scacco, diplomatico e militare, nel duro confronto con l’Iran sciita per la supremazia in Medio Oriente. I sauditi avevano puntato tutto su una transizione “moderata” guidata dai sunniti, ma ora vedono il Paese vicino, con suo accesso al Mar Rosso, in mano agli sciiti di Ansarullah, che non fanno mistero di ispirarsi agli ayatollah iraniani. Una seconda partita, non meno importante, del confronto con l’Iran si gioca in Siria, dove diverse fazioni dei ribelli anti-Assad godono del finanziamento e dell’addestramento di Riad. Altri tasselli della politica estera saudita riguardano il sostegno all’Egitto di Abdel-Fattah al-Sisi, minacciato dall’islamismo dei Fratelli musulmani, e al governo di Tobruk, in Libia. Ospite di un programma tv in Turchia, un leader del fronte ostile a Sisi non ha esitato a definire a caldo la scomparsa del sovrano saudita come «preludio alla fine per i fautori del golpe» anti-Morsi nell’estate del 2013.  Il petrolio. Sul piano socio-economico, infine, Riad è riuscita ad allontanare qualsiasi ombra di “Primavera araba” grazie a straordinari esborsi di denaro investiti in misure di Welfare. Un impegno, questo, che sarà sempre più difficile mantenere in considerazione del forte calo del prezzo del greggio sui mercati internazionali. È improbabile, tuttavia, che la morte di re Abdullah porti nel breve periodo sostanziali cambiamenti nella politica petrolifera saudita, basata sul mantenimento dei livelli di produzione attuali.
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