mercoledì 22 ottobre 2014
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Nelle sue mani non c’è solo la vita di Asia Bibi. Sulla scelta della Corta suprema si gioca la credibilità internazionale del sistema giudiziario pachistano nell’applicazione della legge anti-blasfema. Nei confronti delle minoranze, certo. Ma pure del resto dei cittadini. Non sorprende, dunque, che tanti islamici abbiano aderito ieri alla Giornata di digiuno e preghiera organizzata dalla Chiesa pachistana per salvare Asia. Una delle molte organizzate nel Paese negli ultimi giorni. Che si aggiungono a numerose iniziative di solidarietà. Dopo la conferma della condanna a morte in appello, la settimana scorsa, solo il massimo tribunale può ribaltare la sentenza, palesemente ingiusta. Non ci sono prove a carico della donna cattolica, in prigione da oltre cinque anni. Questa minuta contadina, che ha imparato l’alfabeto in carcere per leggere la Bibbia, è ormai il simbolo della lotta contro l’estremismo radicale per la libertà di fede. «Non possiamo lasciare trionfare il fondamentalismo», ribadiscono gli attivisti. Da qui l’intensa mobilitazione in suo favore di attivisti, Ong e cittadini di ogni religione. «L’esito dell’appello presentato da Asia Bibi ha sconvolto un gran numero di persone», ha affermato la Commissione per i diritti umani del Pakistan. L’Ong – molto conosciuta nel Paese e all’estero – normalmente non si pronuncia sui procedimenti in corso. Stavolta, però, ha voluto fare uno “strappo alla regola” poiché «in questo caso le ricadute non possono essere ignorate». Dietro la vicenda si nasconde la lotta dei fondamentalisti per allungare la loro ombra sinistra sull’intera società. Per questo, un «compito essenziale spetta ai legislatori e agli ulema – sottolinea la Commissione in un comunicato diffuso dal giornale Dawn  –. Se loro non comprendono l’impatto che questa legge (antiblasfemia, ndr) sta avendo sul modo di pensare delle persone e nell’aumentare l’intolleranza in Pakistan, ci troveremo davanti a difficoltà maggiori».  Della stessa opinione Haroon Barkat Masih, direttore della “Masihi Foundation”. «Ci sono troppi interessi dietro al caso di Asia Bibi. Troppi poteri forti e troppe pressioni che, alla fine, coprono e finiscono per calpestare la verità dei fatti », ha detto Masih all’agenzia Fides.  Un altro nodo spinoso è quello dei tempi. Non si sa quando la Corte deciderà di affrontare la questione. In media, ci vogliono tre anni dalla richiesta perché il tribunale esamini un caso. Per questo, la “Christian Solidarity Worldwide” (Csw) e la “Cecil&Iris Chaudry Foundation” (Cifc) hanno esortato le autorità a fissare presto l’udienza. Anche in considerazione del tragico vissuto della prigioniera. «Asia Bibi ha subito condizioni massacranti di detenzione nel braccio della morte – ha detto la Csw a Fides  –, in gran parte trascorsi in isolamento». Un esempio emblematico degli abusi a cui sono sottoposti gli accusati di blasfemia. Eppure, il fronte pro-Asia Bibi non si arrende. La Chiesa locale si è detta fiduciosa in un esito positivo. E anche Michelle Chaudhrt, presidente della Cifc ha espresso ad AsiaNews discreto ottimismo nel proscioglimento della donna al terzo grado di giudizio.
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