giovedì 31 marzo 2016
Intervista all'ex ministro che ha fondato «Incontro di civilità» per proteggere il patrimonio storico di Siria e Iraq.
Rutelli: «La battaglia è tutelare i cristiani»
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«L’idea di separare il destino delle persone da quello delle loro identità culturali è illusoria. A chi esce dal proprio Paese per scampare a guerre o persecuzioni, va evitato anche lo sradicamento culturale». E l’Occidente, Unione Europea in testa deve chiedere la riaffermazione dei diritti di libertà per chi in quei Paesi resta. Francesco Rutelli, già ministro dei Beni culturali, da più di due anni è impegnato con l’associazione “Incontro di civiltà” a salvaguardare il patrimonio in Sira ed Iraq distrutto dal Daesh. Cosa che lo porta a sentirsi di frequente con responsabili di quei Paesi. Per questo, dice, «la nostra comune civiltà non si può piegare a un disegno barbarico». Né sulle persone né sui monumenti. Per Asia Bibi, ragiona l’ex sindaco di Roma, «deve intervenire l’Unione Europea. Una cosa è se si fa ascoltare un Paese di 60 milioni di abitanti, un’altra se lo fa una comunità di mezzo miliardo di persone», dice citando le pressioni dell’Ue sul nemico storico del Pakistan, l’India, per la questione dei marò. Dunque, l’Europa ha il dovere di far valere le proprie conquiste, come l’abolizione della pena di morte, nei confronti di un Paese con cui ci sono forti interessi economici e le cui classi dirigenti «hanno tutto l’interesse a resistere al fondamentalismo». La questione passa anche per la salvaguardia e il restauro del patrimonio archeologico distrutto o trafugato (per Palmira, in Siria, l’associazione sta realizzando ricostruzioni 3D di manu-fatti e progettando i futuri restauri). «Anche questo vuol dire rispetto dei diritti universali e della diversità culturale. Tenere accese queste testimonianza è cruciale. Se si spezza il filo della civiltà, accettiamo la pretesa di cancellare l’altro».Quali iniziative intraprendere verso Pakistan e tutti gli Stati dove i cristiani sono perseguitati?Nel sistema di relazioni bilaterali e internazionali bisogna pretendere parità. Cioè che il rispetto della nostra cultura per le altre fedi, che da noi hanno piena cittadinanza, ci sia anche per i cristiani. Per primi noi occidentali non dobbiamo avere remore nel rivendicare questi diritti. Mentre c’è una sorta di malinteso pudore nel farlo.Perché il nostro dibattito pubblico stenta?Culturalmente tendiamo a contrastare qualsiasi segnale di islamofobia nelle nostre società. E pensiamo che sia paradossale che esista una cristianofobia. Perché viviamo in libertà. E allontaniamo il pensiero dall’idea di una persecuzione dei cristiani che sta invece diventando generalizzata. Così li facciamo anche sentire isolati. Mentre è un battaglia universale che ci accomuna con le classi dirigenti di tanti Paesi islamici.Come contrastare questa tendenza?Per una riflessione consiglierei a chi viene a Roma per il Giubileo di visitare la chiesa San Bartolomeo all’Isola Tiberina. In ogni cappella ci sono i segni dei martiri del XX secolo, riconosciuti da Papa Wojtyla: la tiara del vescovo ucciso, il Vangelo del sacerdote martirizzato, le lettere del ministro pachistano Bhatti.Oltre l’invio dei “caschi blu” a Palmira, cosa fare sul piano culturale?Con la Seconda guerra mondiale abbiamo preso atto che la distruzione del patrimonio non colpisce solo i luoghi, Dresda o Montecassino, ma la cultura del mondo intero. Negli ultimi anni, però, si è interrotto quel percorso iniziato dall’Unesco dal 1945. L’avvisaglia è stata la distruzione dei Buddha in Afghanistan. Ora il Daesh mette in pratica una strategia di ritorno al VII secolo, con una crudeltà che colpisce persone, ma anche il patrimonio in parte musulmano.Anche qui giocano interessi economici?Certo, il Daesh, nella zona tra Raqqa e l’Iraq, ha dato vere e proprie concessioni allo sfruttamento del patrimonio archeologico in cambio del 20% dei proventi. Ne beneficiano terrorismo e bande criminali. Dai satelliti si è visto che usano le scavatrici per devastare e poi vendere i reperti al mercato nero.Che interlocuzione trovate in loco?La prima edizione del nostro premio per i coraggiosi che salvano la cultura è andata al direttore delle antichità di Damasco, Maamun Abdulkarim. Ha avuto 16 funzionari e tecnici trucidati dal Daesh nel tentativo di salvaguardare il patrimonio di un popolo. Dobbiamo appoggiarli, perché rischiano la vita anche per noi.
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