venerdì 18 marzo 2016
Josephine Martin Tamras faceva parte del gruppo di oltre 230 cristiani assiri che erano state rapiti dai villaggi della valle del fiume Khabour, nel nord-est della Siria. È stata rilasciata lo scorso 23 febbraio assieme ad altri 43 cristiani assiri. Sua madre, direttrice della Caritas locale, ha trattato con i jihadisti e ha regalato loro copie della Bibbia.
Io prigioniera dello Stato Islamico: ai rapitori che volevano convertirmi ho fatto il segno della Croce
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«È stato un momento terribile, non solo per la perdita della libertà. Eravamo in ogni momento a rischio, vittime della loro malvagità, prigionieri, pronti a essere uccisi; eravamo costretti a vivere in un ambiente che non ci appartiene. La preghiera era la sola cosa che ci dava forza per andare avanti, e credere». AsiaNews ha riportato il racconto della sopravvissuta Josephine Martin Tamras, giovane cristiana assira, per un anno nelle mani delle milizie dello Stato islamico (Daesh) in Siria. La ragazza è parte del gruppo di oltre 230 cristiani assiri che vivevano lungo il fiume Khabur, nei pressi di Tal Tamr, nel governatorato di Al-Hasakah, nel nord-est della Siria, rapiti dallo Stato islamico. Fra di loro vi erano anche donne, bambini e anziani.

Rapiti dallo Stato Islamico 230 cristiani assiri in Siria nel febbraio 2015 Nei giorni successivi al sequestro collettivo, i terroristi hanno liberato un primo gruppo di 19 cristiani dietro pagamento di un riscatto di circa 1.700 dollari a testa. In seguito, attraverso contatti serrati con mediatori e portavoce, si era giunti ad un accordo per la consegna di tutti i prigionieri; tuttavia, un'imboscata tesa - probabilmente da combattenti curdi - alla carovana jihadista che stava per liberare tutti i prigionieri ha fatto saltare l'operazione. Il rilascio di altri 43 cristiani è avvenuto lo scorso 23 febbraio.Il rapimento delle famiglie cristiane - almeno 230 persone, ma sui numeri esatti ha sempre regnato l'incertezza, tre delle quali sono state giustiziate in una esecuzione sommaria - è avvenuto durante l'offensiva lanciata dai jihadisti contro villaggi a maggioranza assira nel nord-est. ll loro obiettivo, prosegue nella testimonianza Josephine, «era quello di convertirci» e per farlo hanno usato «le armi e hanno cercato di indebolirci» dal punto di vista psicofisico. «Per loro è stato uno choc - ha proseguito  - quando ho detto che non avrei mai abbandonato la mia fede e ho fatto il segno della croce davanti a loro, invocando il potere dello Spirito Santo perché mi sostenesse e mi desse forza fino alla fine». La reazione della giovane per i jihadisti era “un atto di blasfemia” che “meritava l’esecuzione” ma Josephine non si è fatta intimorire perché “ho sempre sentito che Dio mi stava proteggendo”. “Era impossibile sapere quando mi avrebbero liberata quando facevamo domande ci rispondevano sempre con nuove bugie. Anche sul bus che ci ha portato verso casa, non sapevamo nulla del nostro destino”. Tuttavia, ha aggiunto, “questa esperienza mi ha insegnato molto; mi ha insegnato ad essere paziente, tenere salda la fede nel cuore, specialmente quando si è soli. Difatti mi hanno subito separato dai miei fratelli e da mio padre, perché secondo loro maschi e femmine devono stare divisi”. La madre di Josephine: «Ho trattato io il rilascio con i jihadisti»L’esperienza del sequestro ha segnato nel profondo anche la madre di Josphine, Caroline Hazkour, direttore del centro Caritas di Hassakeh, che solo per un caso fortuito non è stata rapita anche lei la notte del 22 febbraio 2015. “Mentre i miei familiari erano prigionieri ho negoziato in prima persona il loro rilascio con uno dei terroristi - ha spiegato Caroline Hazkour -. Con lui ho intavolato un discorso sulla religione, anche sulla fede cristiana, e ho cercato di spiegargli cos’è il cristianesimo. Per questo gli ho fatto recapitare cinque copie della Bibbia spiegate, per introdurlo alla fede cristiana e fargli comprendere il nostro approccio improntato alla pace”. Ora la speranza è quella di poter “incontrare il Papa” con tutta la famiglia.

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