sabato 8 ottobre 2016
​I drammatici racconti dei missionari: colpite soprattutto le zone più povere. «Il sudovest è in ginocchio, acqua dappertutto».
La distruzione portata da Matthew FOTO
Uragano a Haiti, i camilliani: «Non c'è più niente»
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«È un momento difficile. Molto difficile. Il sudovest, già poverissimo, è in ginocchio. Vorrei andare a vedere con i miei occhi ma non posso. La strada è interrotta e noi siamo bloccati a Port-au-Prince, con poche notizie. Tutte catastrofiche. Non riusciamo a contattare padre Massimo: i telefoni non vanno. È isolato, siamo molto preoccupati (il missionario camilliano Massimo Miraglio ha poi ristabilito i contatti, ndr)». La voce di padre Robert Daudier è carica di tensione. Il camilliano, delegato del padre provinciale per Haiti, è costretto a seguire dalla capitale le devastazioni prodotte da Matthew. Crolli e alluvioni hanno isolato la porzione più occidentale dell’isola, flagellata dall’uragano. «Oggi, però, riproverò a rimettermi in viaggio. Andrò con un’ambulanza. Spero di riuscire a raggiungere Jérémie». La città è stata devastata dal diluvio e dai venti, che si sono abbattuti sull’isola con una velocità intorno ai 230 chilometri orari. Là, oltre l’80 per cento delle case è stata distrutta. Perfino il tetto della Cattedrale è stato strappato dalla furia delle tempesta. A Jérémie, i camilliani stanno costruendo il centro ospedaliero per i grandi ustionati “Saint Camille”. Finora, non esiste alcuna struttura di questo tipo nel Paese più povero  dell’Occidente. A tal fine, padre Massimo Miraglio, piemontese di 45 anni, era stato inviato a seguire i lavori. Ad Haiti si fa fronte alla carenza cronica di elettricità con le lampade a petrolio. Il 70 per cento della popolazione cucina su fornelli a carbone: per i piccoli inciamparvi  e rovesciarsi addosso gli enormi pentoloni è questione di secondi. «Il numero degli ustionati è altissimo. Vedere le bruciature sulle carni dei bambini e non poter far niente è straziante. Per questo abbiamo deciso di costruire una clinica specifica. Contavamo di terminarla nel 2017. Ora, però, Matthew potrebbe avere raso al suolo quanto già fatto...», racconta ad Avvenire padre Antonio Menegon, responsabile di Madian Orizzonti Onlus, associazione dei camilliani impegnati da decenni ad Haiti dove hanno realizzato l’ospedale Saint Camille di Port-au-Prince. Madian (www.madianorizzonti. it/) ha appena avviato una raccolta di farmaci e alimenti a lunga scadenza a Torino da inviare a breve nell’isola. «La gente del sud ha necessità di tutto – aggiunge da Port-au-Prince il confratello Robert –. Cibo, innanzitutto, vestiti, farmaci...». «Acqua dappertutto. Case, giardini, tutto è stato allagato. La gente, già in miseria, ha perso quel poco che aveva. Dovranno ricominciare da capo, senza nulla. Che dolore... », afferma fra Jeun Jeune Lozama, piccolo fratello di Santa Teresa, residente a Beausejour, minuscolo villaggio sulle montagne intorno a Léogàne, epicentro del tremendo terremoto del 2010. Anche là – a sud-est – ci sono state frane, inondazioni e tantissimi danni. «La chiesa parrocchiale di Château è completamente distrutta. I tetti delle case sono volati via in pezzi. Grazie a Dio non abbiamo registrato morti e feriti», ha riferito a Fides fratel Jeffrey Rolle, consigliere generale dei missionari redentoristi, che è riuscito a parlare per qualche minuto con i confratelli a Les Cayes, sempre a sud-est. In realtà, non solo la parte meridionale è stata colpita. «Anche dal nord-ovest, in particolare la regione di Port-de-Paix, abbiamo notizie di gravi devastazioni», dice ad Avvenire Marta Da Costa, operatrice di Caritas Italiana nell’isola. Il principale problema è la strage di animali da allevamento e la razzia dei raccolti compiuta dall’uragano più potente degli ultimi nove anni. «Si tratta della principale fonte di sussistenza della popolazione. In un contesto di povertà generalizzata, rappresenta un danno incalcolabile per il presente e il futuro del Paese», prosegue Da Costa. Gli esperti, inoltre, temono una recrudescenza dell’epidemia di colera che quest’anno ha già colpito oltre 21mila persone. «Già prima di Matthews la gente era costretta a camminare per chilometri per raggiungere una fonte d’acqua. Ora l’uragano le ha distrutte. Mi hanno riferito già di alcuni morti per il colera». Non a caso, fra Jean-Hervé François, direttore di Caritas Haiti ha definito la situazione «catastrofica ». Eppure, finora, le autorità non hanno dichiarato lo stato di emergenza, rallentando l’invio di aiuti dall’estero. Un sostegno vitale, in questo momento, per l’isola.
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