venerdì 24 giugno 2016
Un passo dalla pace: cessate il fuoco permanente con le Farc. Stretta di mano all’Avana tra il presidente Santos e il comandante Timochenko.
La politologa Muñoz «Dopo l'addio alle armi servirà una vera riconciliazione»
Colombia, firma per la storia
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Che il passaggio sia «storico» lo conferma la ridda di personalità accorse ieri a Cuba. Dal segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon agli inviati speciali del processo di pace degli Stati Uniti, Bernie Aronson e dell’Unione Europea, Eamon Gilmore passando dai capi di Stato di Cuba (Castro), Cile (Bachelet), Messico (Peña Nieto), Venezuela (Maduro). E ovviamente loro, i due protagonisti di questo «passo gigantesco», «dell’ultimo giorno della guerra»: Rodrigo Londoño, alias “Timochenko”, il leader delle Forze armate rivoluzionarie della Colombia (Farc) e il presidente colombiano Juan Manuel Santos. Insieme a celebrare «l’accordo di cessate il fuoco bilaterale e definitivo », «un sogno che diventa realtà» nelle parole dello stesso Santos, passaggio chiave nell’ambito dei negoziati per raggiungere la pace.  Che potrebbe essere “ratificata” già il prossimo 20 luglio, festa dell’Indipendenza della Colombia: «L’accordo finale sarà firmato nel Nostro Paese», ha assicurato Santos. La firma di ieri scioglie gli ultimi nodi, quelli che ancora rischiavano di strozzare l’intero processo di pace. Il capitolo più urgente – e minato –: quello della consegna delle armi. I settemila guerriglieri si impegneranno a deporle entro 180 giorni dalla firma finale dell’accorso. Armi che saranno consegnate alle Nazioni Unite. Altro passaggio chiave: la sicurezza degli uomini delle Farc. E le necessarie garanzie. L’intesa raggiunta prevede l’istituzione di 22 zone di transizione temporanea e di otto campi per i miliziani.  A nessun civile sarà permesso l’ingresso in queste aree. È un modo per sterilizzare il rischio di vendette, rappresaglie o di azioni da parte di altre «bande armate ». In molti temono che l’Esercito popolare di liberazione (Eln), il secondo movimento ribelle del Paese, possa approfittare del vuoto lasciato dalle Farc. Un cammino lungo, tortuoso, spesso improvvisamente spezzatosi e poi riannodato, irto di difficoltà quello che ha visto riuniti attorno a uno stesso tavolo, le autorità di Bogotà e la guerriglia più potente e spietata del Continente sudamericano. Un cammino che ha visto la diplomazia vaticana in prima fila. E che è atteso da un ultimo passaggio. Il presidente Santos ha strappato il “sì” delle Farc – inizialmente ostili ad accettare una consultazione popolare – su un referendum di ratifica. Il cammino parte nel 2012, nella cornice “neutrale” di Cuba. C’è da anestetizzare un conflitto che insanguina il Paese da 52 anni, che ha fatto 260mila morti, che costretto alla fuga 7 milioni di persone. I nodi da sciogliere sono tanti, fitto l’intrico di rivendicazioni che rischia di fare deragliare le trattative, così come sono frequenti le battute d’arresto. Vengono definiti i primi accordi, sulle materie più incandescenti. La riforma rurale (maggio del 2013), la partecipazione politica degli ex guerriglieri (novembre 2013), lo stop alla produzione e alla vendita di droga di un Paese che oggi è il primo fornitore di cocaina agli Stati Uniti (maggio 2014). Nel 2015 arriva l’amnistia per i delitti politici e la creazione di una «giurisdizione speciale per la pace». E il gesto, potente a livello simbolico, della stretta di mano tra Santos e “Timochenko”, alla presenza di Raúl Castro, a Cuba. «È la prima volta nella storia che un governo e un gruppo armato illegale creano un sistema di questo tipo, dentro al proprio sistema giudiziario nazionale», giubila in quell’occasione il presidente colombiano. A maggio di quest’anno un altro importante tassello: l’impegno del principale gruppo guerrigliero latinoamericano a «congedare» dalle proprie fila i ragazzini sotto i 15 anni. Ora manca solo l’ultimo passaggio, la firma definitiva. «Abbiamo bisogno di un segno chiaro che la firma dell’accordo di pace sia effettiva e non solo un atto simbolico», dice monsignor Luis Augusto Castro Quiroga, arcivescovo de Tunja e presidente della Conferenza episcopale della Colombia. «I guerriglieri devono distruggere le armi pubblicamente», aggiunge l’arcivescovo, citato dall’agenzia Fides e da Radio Vaticana. «La popolazione vuole vedere immediatamente gli effetti dell’accordo».
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