mercoledì 27 aprile 2016
In carcere dal 2009 con l’accusa falsa di blasfemia. È tenuta in isolamento, separata dai 5 figli. La donna, è ora simbolo in tutto il mondo della discriminazione religiosa.  INTERVISTA Il ministro: «Legge stravolta nell'impunità» 
Asia Bibi, da 2.500 giorni in carcere
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Il 19 giugno 2009, la cattolica Asia Bibi veniva presa in custodia dalla polizia nel suo villaggio di Itttanwali, nella provincia del Punjab, denunciata da alcune vicine musulmane per una presunta offesa al profeta Maometto. Formalmente incriminata il mese successivo e condannata a morte per blasfemia l’11 novembre 2010, da allora ha trascorso in carcere – attualmente quello di Multan nel Punjab – , spesso in isolamento per tutelarne l’incolumità, prima il tempo dell’appello e poi, dal luglio scorso, l’attesa di una sentenza finale della Corte suprema pachistana sulla legalità di tutto il procedimento contro di lei. Non sono bastati fino a oggi 2.500 giorni per completare il calvario di questa donna di umili origini, separata dai cinque figli e dal marito, sostenuta dalla fede ma anche dalla speranza che la sua vicenda possa servire alla causa della convivenza in un Paese che si confronta con radicalismo religioso e terrorismo. Asia Bibi, non va dimenticato, non vive solo una vicenda carceraria lunga e penosa, ma è diventata suo malgrado icona delle minoranza perseguitate da una legge, quella anti-blasfemia, che consente accuse infamanti e – per gli estremisti – automaticamente letali. Il suo “caso” mostra come tale normativa sia stata piegata a fini personali o di propaganda al punto da non lasciare spazio per il perdono o di mettere a rischio la vita di coloro che simpatizzano per gli accusati oppure che intervengono per chiedere clemenza. Anche di quanti espongono la necessità di una revisione della legge. Come è successo per l’islamico Salman Taseer, governatore della provincia del Punjab assassinato il 4 gennaio 2016, e per Shahbaz Bhatti, ministro cattolico per le Minoranze, ucciso due mesi dopo. Il Punjab, la più popolosa e ricca provincia del Paese, ma anche quella con il maggior numero di battezzati e una storia di convivenza di fedi nel segno di interessi condivisi, è diventata il centro della vicenda di Asia Bibi e di molti casi di accuse infamanti e di violenze contro i cristiani.  Da poche settimane, in coincidenza con la strage di Lahore del giorno di Pasqua 2016, la metropoli è diventata un obiettivo dichiarato dei terroristi di militanza taleban. Una mossa importante, dato che trasferisce potenzialmente la violenza da aree arretrate e problematiche, come quelle tribali al confine con Afghanistan e Iran ricettacolo di contrabbandieri e terroristi, alle piazze e alla vie di una metropoli di sei milioni di abitanti, luogo d’origine o di azione primaria delle forze politiche e delle personalità che governano il Paese. Le accuse ammesse dalla legge antiblasfemia sono diventate molto comuni e se il loro uso non ha privato di volontà di reazione i cristiani, li ha però resi doppiamente perseguitati. Da un lato il rischio di essere accusati ingiustamente (finora tutte le accuse sono state dimostrate false nei gradi superiori di giudizio, con Asia Bibi come unica eccezione), dall’altro le sofferenze e i rischi che l’accusa verso un solo membro pone sull’intera comunità di ap- partenenza. Il marito, Ashiq Masih, ha parlato recentemente di una offerta di asilo in Francia per la moglie e tutta la famiglia. La via d’uscita verso l’esilio resta per molti l’unica possibile, ma proprio per questo gli estremisti mantengono alta l’attenzione nei suoi confronti, come dimostrato dalle migliaia di manifestanti organizzati che alla fine di marzo, nella capitale Islamabad, tra le condizioni poste per rompere l’assedio al Parlamento avevano posto anche l’impiccagione di Asia Bibi e la fine di ogni pressione per modificare la legge antiblasfemia. Oggi la sorte della madre cattolica si gioca su un equilibrio delicato tra informazione e silenzio, tra uso della piazza e mosse discrete. Una sua libertà personale che non fosse preceduta da una sentenza di piena assoluzione lascerebbe aperta per altri la porta della persecuzione e sarebbe una vittoria, comunque attenuata, degli estremisti che vogliono mettere in ginocchio il Pakistan e farne un centro del jihadismo, senza pari per collocazione, dimensioni e popolazione.
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