giovedì 28 maggio 2015
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Era uscita di prigione nel giugno del 2013 Paula Cooper, conosciuta in tutto il mondo come la condannata a morte più giovane d’America. La sua pena era stata commutata a sessant’anni anni di carcere e poi a 28 per buona condotta. Martedì, due anni dopo, la vita di Paula Cooper si è conclusa prematuramente e tragicamente, falciata da un proiettile che la polizia di Indianapolis sospetta lei stessa abbia sparato.  Paula aveva 15 anni e una storia di povertà e abuso sessuale alle spalle quando, ubriaca e drogata, uccise insieme a un gruppo d’amiche un’anziana insegnante di religione per rubarle 10 dollari e una vecchia auto. Non ne aveva ancora 16 quando fu condannata alla sedia elettrica, nonostante la famiglia della vittima si fosse opposta a tale punizione.Era il 1986, e presto Paula si ritrovò al centro di una  campagna internazionale di solidarietà alla quale parteciparono Papa Giovanni Paolo II e, tra gli altri, il Partito Radicale italiano, Nessuno tocchi Caino, la Comunità di Sant’Egidio e il Parlamento Europeo. Fu una delle prime contestazioni in Europa alla pena di morte inflitta in un’altra parte del mondo.  Cooper confessò di aver colpito con un coltello la 78enne Ruth Pelke, ma subito dopo l’arresto dimostrò rimorso per l’atto compiuto, definendolo «terribile». Il nipote della vittima, Bill Pelke, la volle conoscere e si attivò per contestare la condanna. Anche a causa del dibattito sollevato dal caso, due anni dopo la Corte Suprema americana stabilì che era «crudele», e quindi incostituzionale, infliggere  la pena capitale per un reato commesso sotto i 16 anni. Di conseguenza l’Indiana innalzò da 10 a 16 anni l’età minima per una condanna a morte e nel 1988 la Corte Suprema dello Stato commutò la pena della giovane. La donna afroamericana, 45enne, è stata trovata morta martedì a Indianapolis, dove viveva a stretto contatto con la chiesa locale, che l’aveva presa in carico, proteggendola dal desiderio di vendetta di molti. Paula ancora riceveva minacce di morte e ingiurie. «Probabilmente, la vita fuori dal carcere si è misteriosamente rivelata troppo difficile per lei», ha spiegato Mario Marazziti, presidente del Comitato parlamentare diritti umani e allora coordinatore della campagna di Sant’Egidio contro la pena capitale per Cooper. Bill Pelke, si è detto devastato dalla notizia della sua morte.«Mia nonna sarebbe rimasta choccata nel sapere che Paula si trovava nel braccio della morte e che nei suoi confronti c’erano tanto odio e rabbia. Sono convinto avrebbe avuto amore e compassione per Paula e la sua famiglia – ha dichiarato l’uomo che dirige l’associazione Forgiveness Project (Progetto perdono) –. Mi ha sempre detto di voler aiutare i giovani ad evitare le trappole in cui era caduta lei. Diceva che voleva ripagare il suo debito». Grande svolta intanto ieri in Nebraska. Il Parlamento statale ha infatti raccolto abbastanza voti – 30 sì e 19 no – per rovesciare il veto posto martedì dal governatore Pete Ricketts alla legge per lo stop alle esecuzioni. Il voto fa del Nebraska il primo stato controllato da repubblicani che abolisce la pena di morte dopo il North Dakota nel 1979. «È una questione di pubblica sicurezza, abbiamo bisogno di pene severe, dobbiamo essere sicuri che i nostri procuratori abbiano gli strumenti per tenere i criminali incalliti dietro alle sbarre», aveva detto Ricketts per giustificare il suo veto alla legge che aboliva la pena capitale approvata nei giorni scorsi. Per rovesciare il veto del governatore erano necessari 30 voti, proprio quelli con cui nella serata di ieri la decisione è passata al Parlamento locale.
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