venerdì 9 ottobre 2015
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Caro direttore, il contesto di questi giorni – Sinodo della famiglia, «non siamo in cerca di maggioranze», caso Charamsa – mi ha fatto ricordare il contesto che ha prodotto l’Humanae vitae. Ci teneva aggiornate padre Giacomo Perico, gesuita, componente della Commissione dei Cinquanta (Giovanni XXIII) e poi dei Settanta (Paolo VI) che aveva formulato a maggioranza la possibilità che la pillola antifecondativa potesse essere considerata alla pari dei farmaci per il cuore: «Così come la digitale regola il battito cardiaco, la pillola regola la fecondità». La relazione finale di maggioranza condivideva questa possibilità; quella di minoranza no. Ci fu detto che Paolo VI si ritirò in preghiera e digiuno per due settimane. Dopo di che firmò l’enciclica che assumeva la tesi di “minoranza” relativamente alla pillola. Ci fu un putiferio mediatico e non solo mediatico. Anche nella Chiesa si contestò la decisione del Papa, salvo ricredersi vent’anni dopo (1988) quando la sua scelta venne riconosciuta come coraggiosa e profetica. Preghiamo lo Spirito Santo perché la superbia non ammali la ragione (come temo sia accaduto al brillante teologo polacco) e con umiltà e coraggio siamo capaci di essere fedeli a Cristo. Le sarò molto grata se potrà dirmi se i miei ricordi sono fasulli o se ricordo bene. La ringrazio per come ha condotto il “caso Charamsa” in tv e sul nostro giornale. Agnese Fedrigotti Milano Per quel che ne so (che non è pochissimo, ma neanche molto), lei ha buona memoria, cara signora Fedrigotti. Per di più nutrita da ottime fonti. Non mi avventuro, dunque, su terreni che non conosco a fondo. E mi limito a convenire con lei su un punto essenziale: in ogni tempo, alla Chiesa servono coraggio e umiltà e, dunque, preghiera, fiducia nell’azione dello Spirito e tanta concreta carità nella verità. Questo perché – cito un’efficace frase tratta dall’intervista sinodale a Radio Vaticana di Christoph Schönborn, cardinale arcivescovo di Vienna – «la carità senza la verità è morbida e la verità senza la carità è durezza, unirle è esigenza del Vangelo». Pensarlo ci aiuta a capire il motivo per cui nella Chiesa – il Papa lo ha sottolineato più volte durante il cammino sinodale sulla famiglia che ha aperto e guida – non ci sono questioni che possano essere affrontate e risolte secondo le dinamiche “maggioranza-minoranza” che dominano tanta parte delle logiche del mondo. Se così invece fosse, finiremmo dentro un deludente schema di scontro o di resa rispetto allo spirito del tempo, questo tempo sfidante e confuso. E invece siamo chiamati a leggerne i segni e a testimoniare con generosa chiarezza il senso cristiano e il valore civile del matrimonio, l’unico modo per far nascere un figlio e i molti modi di dare la vita, il valore degli affetti e della reciproca fedeltà. Ci spinge, cioè, ad andare al cuore della forza, della bellezza e dei vecchi e nuovi problemi della famiglia, di ogni persona e delle società senza cedere alla tentazione di travestirli, ignorarli o rimuoverli. Questa fase della vita del mondo – come Francesco proclama sin dall’inizio del pontificato – deve essere compresa e vissuta come un «tempo di misericordia», nella Chiesa e non solo in essa. Il fatto che al Sinodo seguirà un anno giubilare straordinario torna a ricordare a tutti, senza distinzioni, che è la misericordia la via maestra della fedeltà a Cristo: al suo «comandamento nuovo», l’amore, e ai suoi «nuovi comandamenti», le beatitudini. Marco Tarquinio
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