giovedì 25 settembre 2014
COMMENTA E CONDIVIDI
Caro direttore,qualcuno si sarà accorto che nel bailamme delle discussioni sull’articolo 18 – in procinto, pare, di essere modificato – c’è una singolare e abnorme anomalia. Giustamente si è posto più volte l’accento sul fatto che in questo Paese convivono da molti anni lavoratori (e quindi cittadini) di serie A e di serie B: i primi, dipendenti di aziende con più di 15 dipendenti, tutelati contro il licenziamento, i secondi potenzialmente in balìa di ogni refolo di vento. Peccato però che le mezze verità siano più fastidiose e infide delle falsità. Avrà notato anche lei, infatti, che si è sistematicamente omesso di fare riferimento ad un’altra, ben più rilevante discriminazione tra i lavoratori italiani, ovvero quella che li distingue tra dipendenti del privato e dipendenti del pubblico. Sì, perché i primi sono comunque licenziabili, come l’esperienza insegna, anche nelle grandi aziende, mentre i secondi sono assolutamente intoccabili. Alzi la mano chi conosce un dipendente pubblico che è stato licenziato senza aver commesso qualcosa di gravità abnorme. Al super fannullone di professione che ha la fortuna di sedere nell’ufficio di un Comune, di una Provincia, di una Prefettura, di una Scuola, il posto è comunque garantito a vita. E se la sua funzione viene meno, per qualsivoglia ragione, nessuno lo toccherà mai. Al massimo lo si metterà dietro a un’altra scrivania, senza alcunché da fare. Il fatto appare paradossale, tanto più se si considera che è proprio il dipendente pubblico a gravare sui conti dello Stato e sulle tasche dei contribuenti-concittadini. Se poi si aggiunge che per via delle ben note politiche clientelari si sono riempiti per decenni gli enti locali e gli altri pubblici di persone che spesso non hanno un ruolo, si capisce che l’impossibilità di licenziare nel pubblico appare oggi come un vero e proprio cappio al collo per il Paese, oltre che un’ingiustizia di solare evidenza. Tutti lo sanno eppure tutti, anche sugli alti scranni, si chiudono gli occhi. Non è politicamente conveniente per nessuno, del resto, scoperchiare il vaso di Pandora. Poi magari faremo la fine della Grecia e arriverà la Troika. Allora, piaccia o no, le cose dovranno cambiare e anche l’Italia potrà fare un passo in avanti sulla strada che conduce alla normalità. Breve postilla: perché non è mai stata introdotta una norma che vieta le assunzioni negli enti pubblici (e assimilati) ai parenti di chi è già dipendente? Avremmo evitato, quanto meno, di vedere intere famiglie assunte da Comuni, Ferrovie, ecc ecc…Luigina Galli, CremonaNon mi iscriverò mai al partito del “viva i licenziamenti”, cara signora Galli. E penso che anche lei, pur nella polemica con i «super fannulloni», sia del mio stesso avviso. Ci sono, infatti, diversi modi per impedire l’intollerabile spreco di “risorse di tutti” che si realizza quando noi cittadini ci ritroviamo con servizi pubblici mal condotti e peggio interpretati da coloro che sono invece stipendiati per svolgerli. E vanno, questi modi, dai premi e dagli sviluppi di carriera riconosciuti solo a chi ben fa (e non per certificazioni di camarilla, ma su basi oggettive) sino alla rivalsa in sede disciplinare e giudiziaria nei confronti di chi «interrompe» (non erogandolo a dovere) il pubblico servizio che gli è affidato. Il fatto poi che, a seguito del decreto di riforma della PA del giugno scorso, i dirigenti pubblici non siano più – qualsiasi cosa accada e qualunque cosa facciano (nepotismo compreso e reati a parte) – inamovibili, mi pare un segnale interessante. Da non sopravvalutare e da non idealizzare con furia da “disarcionatori” pregiudiziali, ma nemmeno da disprezzare.Come lei, poi, credo che non sia giusto perpetuare l’attuale regime di doppio standard (rimosso solo sulla carta) a tutto svantaggio dei lavoratori del settore privato e soprattutto dei lavoratori delle piccole imprese (dove peraltro la regola dei rapporti tra datore di lavoro e prestatori d’intelligenza e d’opera è di riconoscimento reciproco e, anche, di vera solidarietà). E so che la strada non sarà breve né semplice. Ma vedo da parte del Governo Renzi l’intenzione di uscire da antiche secche che, paradossalmente, poco a poco si sono andate trasformando in paludi. Un processo propiziato dall’affievolirsi in parti non piccole della nostra società del senso civico e della coscienza cristiana, che nella mia esperienza – come in quella di tanti altri – vanno di pari passo. La ricetta dell’attuale esecutivo non è la panacea di tutti i mali, ma non è neanche una soluzione cosmetica e ha il merito di cominciare a “dare cittadinanza” alla condizione e ai diritti (sinora poco e male considerati) dei non-garantiti, cioè di tutti coloro – soprattutto, ma non solo, giovani – che lavorano ai margini degli assediati e pericolanti fortilizi del “posto fisso”. Con l’aria che tira non è teorico il rischio che l’attuale quadro politico non regga e le riforme in corso (perfettibili, come tutte) si blocchino. Non me lo auguro affatto, e soprattutto non lo auguro ai nostri figli.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI