mercoledì 20 luglio 2016
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​Caro direttore,
sono grato ad "Avvenire" per l’intervista di Umberto Folena al professor Ferrante docente di diritto del lavoro, pubblicata mercoledì 13 luglio. Grato perché dice le cose come stanno, anche se il dirle è "politicamente scorretto". I casi di «furbetti del cartellino» si ripetono sempre, come già sospettavo, perché in realtà quel loro comportamento non pregiudica loro praticamente nulla: fanno i furbetti perché sanno di poterlo fare. Infatti, il professore spiega che anche la nuova legge anti-furbetti nulla aggiunge, di veramente praticabile, alle norme precedenti che non hanno funzionato: la macchina burocratica italiana è tale che alla fine vince (quasi) sempre il lavoratore. Pure se non lavora. Rimane valida una verità antica: sotto lo Stato chi veramente lavora (sono una ampia maggioranza) lo fa per senso del dovere, o della giustizia, o forse per timor di Dio. Non lo fa perché costretto dalle leggi. I casi di furbetti però aumentano. E purtroppo aumentano – ed è peggio – anche i casi di corruzione coi relativi costi. È come se il senso del dovere, o della giustizia, o il timor di Dio andassero scemando. Caro direttore, come finiremo?
Franco Grilli Mirandola
 
L'espressione «furbetti» non mi è mai piaciuta. Parliamo piuttosto di «cialtroni del cartellino», secondo una definizione che trovo più calzante e che, il 13 luglio scorso, ho deciso di usare anche nel titolo in prima pagina. Lei, caro signor Grilli, mi chiede come finiremo a causa di questa categoria di (in molti sensi) impuniti e di quella, persino peggiore, dei corrotti e dei corruttori. Io penso che nulla sia ineluttabile, e che finiremo come decideremo di finire. Con questo voglio dire che non possiamo proprio permetterci una nuova moltitudine di italiani (dipendenti pubblici e no) che lavorano onestamente e coscienziosamente, ma si comportano da «maggioranza silenziosa» e remissiva di fronte alle ostentazioni dei menefreghisti, degli sleali, dei sabotatori del bene comune. Ecco perché apprezzo molto, caro amico, che lei non si limiti alla lamentazione, ma scelga e indichi antidoti forti alla cialtroneria dei lavativi e alla malizia dei grassatori. Condivido totalmente quei suoi tre pilastri. Perché non sono "regolette" facilmente aggirabili, ma qualcosa che le precede e, cioè, la base morale e spirituale di una vita degna di questo nome, di una vita buona.
Il senso del dovere. Qui, anche per me, resta formidabile e indimenticabile la profezia scandita quarant’anni fa da Aldo Moro dalla tribuna del XIII congresso della Democrazia cristiana: «Questo Paese non si salverà, la stagione dei diritti e delle libertà si rivelerà effimera, se in Italia non nascerà un nuovo senso del dovere». Troppo chiaro per essere stato preso sul serio negli anni delle sbornie libertarie e libertine, della retorica del «vietato vietare» che abbiamo alle spalle e che, nei fatti, ha vietato soprattutto ai piccoli, ai poveri e ai deboli quella montagna di autentici diritti umani e di cittadinanza che debbono essere garantiti da servizi pubblici efficacemente esercitati. Troppo vero per non essere preso sul serio adesso che non possiamo continuare proprio più a scivolare lungo quell’insopportabile china. Il senso della giustizia. Capace di condurre alla fulminante consapevolezza che «non c’è nulla che sia ingiusto quanto far parti eguali fra diseguali» resa in modo lapidario da don Lorenzo Milani in <+NEROCORSDIR_RISP>Lettere a una professoressa<+NERODIR_RISP>. E quanto si applica questa verità tanto strattonata e dimenticata alla sua notazione sulle sacrosante tutele per il lavoratore purtroppo applicate anche a chi si rivela sistematico non-lavoratore e dunque piccolo o grande truffatore... Il timor di Dio. Che è un dono dello Spirito Santo e non è – come ci ha magistralmente spiegato papa Francesco nell’udienza generale dell’11 giugno 2014 – «avere paura di Dio» e di una possibile punizione, ma l’«abbandonarci nelle sue mani», ma non da rassegnati. Dice Francesco: «Il timore di Dio, quindi, non fa di noi dei cristiani timidi, remissivi, ma genera in noi coraggio e forza! È un dono che fa di noi cristiani convinti, entusiasti, che non restano sottomessi al Signore per paura, ma perché sono commossi e conquistati dal suo amore». E questo amore dal quale si sono fatti conquistare con gioia lo comunicano in ogni situazione, in ogni ambiente, e naturalmente anche con il loro modo di lavorare. Senso del dovere, senso della giustizia, timor di Dio sono davvero un patrimonio da custodire e investire, e soprattutto da trasmettere. Senza pedanterie e lezioncine, dando buon esempio. E smettendola di subire il dilagare del cattivo esempio. Chi ne ha il potere, affini ancora gli strumenti di legge anti-cialtroni. Noi che ne abbiamo la possibilità dimostriamo a noi stessi e ai nostri figli che chi non è cialtrone, vive meglio. E la sera può ringraziare davvero Dio per la sua giornata, e può guardarsi allo specchio.
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