martedì 3 marzo 2015
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C​aro direttore,
la manifestazione della Lega Nord a Roma ha confermato una linea di estrema destra concorrenziale a quella di Beppe Grillo nella comunicazione basata sull’insulto. Credo che se, in tempi brevi, non emergeranno un leader e un progetto politico forti, legati al Popolarismo europeo, i moderati di tutte le provenienze culturali, per evitare voti inutili, saranno costretti a sostenere il Pd renziano.
Bruno Cassinari, Piacenza
 
Signor direttore,
anche voi di “Avvenire” fate parte di quegli italiani che italiani non si sentono. Domenica avete scritto in prima pagina che il leader della Lega Matteo Salvini nel suo comizio romano a piazza del Popolo ha insultato il premier. Ma a cosa vi riferite? Insulto di cosa? È del tutto vero che Renzi è un fantoccio di quelli che vogliono imporre la schiavitù al popolo. Matteo Renzi non è stato votato premier dal popolo e se ha poi avuto un certo successo elettorale, è chiaro che l’ha avuto dai suoi accoliti. Cominciate a dire come stanno le cose, disinformatori!
Roberto Pozzan, Busto Arsizio (Va)
 
Queste due lettere, diversissime per toni e contenuti, sono arrivate da un lettore per scelta e da un lettore per caso. E la cosa – lo dico con totale rispetto delle opinioni di coloro che comunque ci leggono – si nota a prima vista. Le propongo perché provengono entrambe da nord e perché aiutano a capire e valutare almeno una parte degli umori che circolano tra i cittadini-elettori di questo Paese.
Il signor Pozzan mostra di avere idee così chiare su Matteo 1 (Renzi) e Matteo 2 (Salvini) da non considerare «insulti» neanche i cori di “vaffa…” che il segretario lumbard ha chiamato e diretto dal suo palco romano. E però a non sentire bene sarebbero i cronisti di “Avvenire”... La cosa si commenterebbe da sola, ma mi ci soffermo un attimo. Infatti, a parte due o tre quotidiani che indulgono anche nella titolazione allo stesso lessico caro ai pasdaran leghisti (dico “pasdaran” perché non tutti i leghisti sono uguali, l’ho scritto più volte e continuo a pensarlo), e a parte la legittima (e sempre benvenuta) diversità di commenti sulla marcetta sulla capitale di Salvini, mi pare che le cronache siano state oggettivamente concordi sulla cifra comunicativa al vetriolo – diciamo così – del non oceanico raduno dei leghisti e dei loro nuovi alleati di destra (più o meno estrema). Ma chi, come il signor Pozzan, non si rende più conto di che cosa è insulto e di che cosa non lo è, che titolo ha per affibbiare pagelle ad altri?
E vengo alle questioni più politiche poste dai lettori. Che sono tre.
1) La legittimazione di Renzi a governare. Ripropone il tema il signor Pozzan, saltando su un ritornante cavallo di battaglia delle opposizioni, pur azzoppato dall’impressionante successo del Pd renziano nel voto europeo 2014. Si può dire ciò che si vuole, ma nella nostra Repubblica, fino a quando la Costituzione non verrà cambiata, il presidente del Consiglio dei ministri viene eletto dal Parlamento. Punto. Il resto sono chiacchiere ed estremizzazioni, cioè lo stesso mix letale che ha sinora affossato tutti i tentativi di riforma delle istituzioni.
2) La concorrenza Salvini-Grillo. Il signor Cassinari sottolinea un dato evidente che rende, anche a mio giudizio, assai diverso il caso italiano da quello francese, dove il Front National – oggi guidato da Marine Le Pen – è sostanzialmente monopolista di un pezzo di campo in espansione. In Italia, invece, partendo più da sinistra (Grillo) o più da destra (Salvini) è in atto una contesa per convincere e conquistare, con parole d’ordine (e anche invettive) spesso tra loro sovrapponibili, gli stessi settori di opinione pubblica. Ci sono stati anche segnali reciproci, persino di sapore xenofobo (riecco il modello lepenista...), ma la compatibilità non c’è. È una partita dura, che eccita antagonismi e non promette meraviglie.
3) In mancanza di una sezione italiana del Ppe, Renzi riferimento obbligato di tutti i non estremisti. Il nodo, evocato ancora dal lettore Cassinari, è reale. E l’obiettivo dell’attuale premier e leader del Pd può essere effettivamente questo: portare la gran parte dell’opinione pubblica, a torto o a ragione definita “moderata”, sulle sue posizione riformiste. Molto ovviamente dipende e dipenderà dalla qualità della proposta renziana, da quanto cioè saprà interpretare la complessità italiana e l’anima profonda del nostro Paese, contemperando forza innovativa e giusto equilibrio. Ma è assolutamente vero che la frammentazione e la carenza di leadership nel campo europopolare assieme alla radicalizzazione delle alternative di destra, anti-sistema e forse anche di sinistra rischia di rendere troppo facile, o di far apparire troppo facile, il lavoro del Matteo 1. Non è affatto una buona notizia. Il buon governo ha bisogno di alternative sensate, di differenze anche assai nette eppure sempre compatibili. E le vittorie troppo annunciate diventano spesso mezze sconfitte. Sul piano elettorale o sul piano di un programma non ben calibrato. È bene ricordarlo. La politica degli insulti alle persone e alla realtà proprio come quella delle eccessive sicurezze non fa mai bene alla politica. 
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