venerdì 8 gennaio 2016
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Caro direttore,
sto seguendo la discussione sulle unioni civili che si è aperta in particolare all’interno del Pd con interesse e una certa preoccupazione. Sono convinto che la materia debba essere finalmente disciplinata per tante ragioni, in particolare dopo le due sentenze della Corte Costituzionali, la 138 del 2010 e la 170 del 2014. Il “ddl Cirinnà 2”, all’esame ora del Parlamento, offre una risposta coerente con le osservazioni della Corte nel momento in cui sposta l’asse della legge dall’art. 29 della Costituzione (che disciplina il matrimonio) all’art.2 (che disciplina i diritti degli individui e delle formazioni sociali). Il matrimonio, dunque, resta cosa ben distinta dall’unione civile: per coglierne la differenza basta richiamare il dibattito alla Costituente a partire dagli interventi dell’onorevole Nilde Jotti relatrice dell’art. 29. Su questo mi pare non ci sia divisione.
Le questioni aperte invece riguardano altro, come ha ben messo in rilievo, tra gli altri, l’onorevole Franco Monaco intervenendo proprio su “Avvenire” il 30 dicembre scorso in dialogo con lei, direttore. In particolare a dividere è il tema della cosiddetta stepchild adoption, cioè l’«adozione del figliastro» nel caso di unioni omosessuali.
Mi ha molto sorpreso che da parte di alcuni parlamentari si accusino i cattolici («una esigua, residuale minoranza di conservatori cattolici del Pd che contano poco o nulla», avrebbe detto la relatrice) di sollevare questioni più o meno confessionali, quando invece le riserve sollevate sono per nulla confessionali, anzi, fino a ieri, cioè fino a pochi anni fa, rappresentavano il nucleo di un pensiero che andava ben oltre i confini della sensibilità cattolica, al punto da costituire punti irrinunciabili anche per la cultura laica e quella femminista in particolare. Mi riferisco alla soggettività del diritto all’adozione e alla possibilità di «affittare» l’utero di una donna «terza» per produrre un bambino «adottabile».
Dunque, si faccia chiarezza, e si riconosca che siamo di fronte a un capovolgimento culturale della tradizione cosiddetta laica. Sino a pochi anni fa infatti i parlamentari laici, compresi quelli gay, escludevano di introdurre il «diritto» di adozione della coppia proprio per queste ragioni di carattere culturale e morale. Trasferire il diritto all’adozione dal soggetto bambino al soggetto coppia significa introdurre nell’ordinamento un principio individualista e di prevalenza del desiderio dei candidati alla genitorialità rispetto a quello del bambino in attesa di genitori. Sono convinto che la legge debba tenere conto dell’evoluzione del costume, ma qui siamo di fronte a una questione di principio molto seria. Si può cambiare idea, ma si deve dire perché e, soprattutto, si deve ragionare con serietà e rigore sulle conseguenze sistemiche provocate da tale cambiamento di paradigma culturale, e non liquidare chi pone il problema come un conservatore retrivo.
Personalmente ho apprezzato molto il modo con cui il governo Renzi ha trattato il tema dei migranti, considerati giustamente – a costo di prezzi elettorali rilevanti – prima ancora che come rifugiati, più o meno irregolari, come persone umane, perché i principi non si cambiano e non si scambiano a seconda delle convenienze. Qui siamo di fronte a un altro principio fondante la civiltà giuridica moderna: i bambini non sono oggetti ma soggetti.
La seconda questione riguarda i cosiddetti «uteri in affitto», non consentiti in Italia, ma consentiti appena al di là dei confini nazionali. Sylviane Agacinski Jospin, donna di sinistra da sempre, fondatrice del movimento femminista in Francia, ha affermato recentemente (“Avvenire”, 29 ottobre 2015): «Abbiamo a che fare con un mercato procreativo globalizzato nel quale i ventri sono affittati. È stupefacente, e contrario ai diritti della persona e al rispetto del suo corpo, il fatto che si osi trattare una donna come un mezzo di produzione di bambini». Per tale ragione l’Assemblea nazionale francese ospiterà il prossimo 2 febbraio una Conferenza per l’abolizione universale della pratica dell’utero in affitto. Potrei citare analoghe posizioni “laiche” (penso alla professoressa Luisa Muraro, o all’onorevole Livia Turco), o il recente documento approvato dal Parlamento europeo sulla stessa linea di condanna, ma non è necessario insistere, tanto è evidente, anche in questo caso, il clamoroso cambio di paradigma non certo da parte dei cattolici. Stupisce semmai la disinvoltura con cui tutto ciò stia avvenendo in Italia.
Ecco, la questione che io pongo allora è molto semplice: è possibile ragionare su questi elementi prima di legiferare? Poi si proceda al meglio, rispettando la volontà della maggioranza e votando ogni parlamentare secondo coscienza. Ma chiedere di confrontarsi e approfondire non può essere vissuto con fastidio.
Pierluigi Castagnetti
La sua, caro presidente Castagnetti, è la stessa domanda che da più di due anni proponiamo a politici e intellettuali non solo italiani e all’intera opinione pubblica. Lo facciamo ascoltando e raccontando vicende umane, offrendo dati, richiamando evidenze scientifiche, interpellando il senso morale e di giustizia di tutti e di ciascuno. E “parliamo” in modo pacato (per qualcuno troppo pacato) e forte (per alcuni troppo forte). Per parecchio tempo abbiano dovuto constatare che le risposte più congrue e interessanti venivano soprattutto da oltre confine: da Silvyane Agacinsky a Kathy Sloan. Ma ora qualcosa sembra cambiato anche in Italia, dove si vanno moltiplicando prese di coscienza e di parola: da Luisa Muraro alle firmatarie e ai firmatari dell’appello promosso da “Senonoraquando – Libere”. La questione che anch’io chiamo della cosificazione di figli, madri e, anche, padri è dunque posta, nella sua verità di questione umana fondamentale e non di questione moralistica come più d’uno e d’una – per pigrizia, sciatteria, furbizia, malafede e interesse (anche comprensibile) – vorrebbe far credere. Rilancio e accompagno, perciò, con qualche riga questa sua riflessione, caro presidente, perché vedo che lei contribuisce a smascherare ulteriormente il gioco retorico (e un po’ cinico) di chi continua a gabellare per ideologica e dogmatica la posizione dei cattolici e di tutti coloro che, in coscienza, hanno sollevato il problema della riduzione dei figli a «oggetti» e della radicale umiliazione delle madri surrogate, il cui povero grembo diventa fabbrica per il ricco desiderio altrui. Credo, poi, che si illuda chi si ostina a giocare con le parole e a mistificare la realtà tentando di sfuggire al dovere di valutare la conseguenza di quello che lei, giustamente, chiama un capovolgimento e che, a mio parere, annuncia un pauroso sconvolgimento nel cammino della civiltà umana. Già, penso che sia un’illusione vana quella di riuscire a sfuggire al peso di simili scelte, perché – qualunque cosa infine si voti anche nel Parlamento italiano – la realtà dura e ingiusta dello sfruttamento delle donne e del privilegio degli adulti su figli “programmati” e “prodotti” fuori dal rapporto responsabile tra una donna-madre e un uomo-padre sta già inseguendo i portatori di idee e rivendicazioni senza più misura. Lo ripeto ancora una volta: nella nostra società malata di individualismo e di solitudine, l’impegno per dare nuovi strumenti di solidarietà (anche patrimoniale) alle persone è un bene, ma proprio perché questo bene accada non si possono confondere piani che non devono essere confusi. E il piano dei figli, cioè quello matrimoniale, non è colonizzabile: la naturale pari dignità di ogni persona, eterosessuale od omosessuale, non si può innaturalmente affermare sulla pelle dei bambini. Questa nostra generazione – e penso a tutti noi, qualunque responsabilità abbiamo: politica, culturale, religiosa o di semplice cittadinanza – dovrà rendere conto di tale misfatto a quelle future. E chi non avrà saputo capire e fermare le derive del disumano mercato procreatico porterà il peso dell’ingiustizia dissimulata e consentita.
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