Non c’è un Vangelo solo per i politici e i poveri non hanno passaporto
martedì 31 maggio 2016
​Gentile direttore,
 
mi preoccupa constatare che il complesso e pure drammatico tema dei profughi, evidenziato quotidianamente, sia da “Avvenire” che da tutti i grandi mezzi di informazione, e pure richiamato dal Papa, non provochi “lettere al direttore”, quasi non riguardi gli stili di vita di tutti e, in particolare, quanti si considerano cristiani autentici (e pertanto sono molto più propensi a impartire lezioni morali a chiunque). Il mio sconcerto aumenta nel constatare come la presenza in Italia di 6 milioni di immigrati (compresi i numerosissimi bambini) che vivono nelle nostre comunità sia quasi ignorata dagli italiani iscritti nei registri di Battesimo delle Parrocchie. Se aggiungiamo il clima di livore verso i profughi che viene espresso su parecchi giornali e giornaletti locali da parte di gruppi politici, paladini della difesa dei Crocefissi appesi ai muri, si ha l’idea della distanza abissale che separa troppe persone dal Comandamento dell’Amore: ama Dio e il prossimo come te stesso. Solo che manca il coraggio per evidenziare tanta falsità e ipocrisia.
 
 
 
Giuseppe Delfrate - Chiari (Bs)
 
 
Gentile direttore, la fuga dai luoghi di nascita di molte persone e il tentativo di entrare irregolarmente in Italia e in Europa sono sintomi di un malessere che non può essere semplicemente represso con provvedimenti di chiusura e di rifiuto, ma che deve essere affrontato in termini globali con politiche nuove e con una più equa distribuzione delle risorse. Molti popoli, nel mondo in guerra e in povertà, vorrebbero godere della libertà e della democrazia come fine di un incubo derivante dai regimi assoluti ancora oggi esistenti e come inizio di un periodo di rinascita e di speranza in un futuro diverso da quello in cui vivono nei loro Paesi per sé e per i propri figli. Queste persone hanno bisogno di aiuto, perciò i Paesi cosiddetti evoluti devono intervenire nei loro Paesi di origine e far sì che questi nostri fratelli non debbano scappare dalla loro patria dove invece, per guerra o arretratezza e povertà endemiche o corruzione, non hanno neanche l’acqua, il cibo e le medicine per poter sopravvivere. Noi tutti dovremmo evitare loro di morire mentre cercano la salvezza. Per non avere tutti questi sbarchi sulle nostre coste del sud Italia dovremmo aiutarli sul serio nei Paesi di origine, dando loro possibilità di “fare” per sopravvivere.
 
Antonio Guarnieri - Cisternino (Br)

Caro direttore, le notizie di questi ultimi giorni parlano, a dir poco, di un’ecatombe di umanità. Fonti ufficiali affermano che nell’ultima settimana almeno 13.000 sono state le persone tratte in salvo nel canale di Sicilia. Un dramma che sembra essere in costante aumento, perché queste persone scappano dalla guerra, dagli sfruttamenti, dalle oppressioni. Alla maggior parte di noi occidentali che viviamo molto spesso nella cultura dello spreco, che godiamo dei diritti civili, della dignità e della libertà sembra una cosa assurda: è una follia imbarcarsi in un’avventura dove le probabilità di riuscita sono minime. In nome della libertà e della dignità tutti costoro sono costretti a cercare e persino a elemosinare altrove, nelle terre d’Europa i diritti umani basilari sanciti nel 1948 dalle Nazioni Unite. È anche sotto gli occhi di tutti quanto sta facendo l’Italia per affrontare questa emergenza: davvero encomiabile il servizio prestato a questi poveri migranti, i più fortunati riescono a essere salvati, ma tra loro quanti muoiono in mare? Un mare che è diventato un cimitero. Eppure Dio che ci ha creati perché tutti portassimo rispetto gli uni verso gli altri, senza distinzione di razza, sesso, credo religioso, ricchezza o povertà. A ogni persona, a ogni comunità a ogni nazione ha dato l’essenziale di che vivere, ma come tutti sappiamo, la sete di potere e l’egoismo, prevarica sui più deboli. C’è tanta indifferenza, ma anche vasta commozione davanti a notizie come quelle della bambina di appena 9 mesi rimasta orfana perché la mamma è morta durante il viaggio in mare. Una notizia che dovrebbe farci riflettere, che ci ricorda in modo potente – assieme alle parole di papa Francesco – che davvero queste persone sono «in pericolo» e non sono «un pericolo» per noi occidentali. Io penso che in ognuno di noi che godiamo di un certo benessere e di certi privilegi, vi sia una certa forma di ipocrisia e di egoismo, piuttosto che tendere al pietismo, dovremmo invece avere il coraggio di scelte generose, perché «la vita è per condividerla con gli altri».

Adelio De Gol - Feltre (Bl)

Credo che il gentile signor Delfrate abbia perso più di un numero di “Avvenire”. Ci vorrebbero giorni e giorni per contare e rievocare i contenuti di tutte le lettere sulla questione profughi-migranti arrivate e pubblicate in queste pagine delle Idee e, a volte, addirittura in prima pagina, anche solo nei sei anni e mezzo della mia direzione. Ma il problema che pone – la nostra fatica di vivere il «comandamento dell’amore» – è serio, così come è serio (e ricorrente) quello sollevato dal signor Guarnieri che torna sul dovere e l’opportunità di «aiutarli a casa loro». E non da meno è il contributo del caro signor De Gol che coniuga le questioni affrontate dai due precedenti lettori, chiamando in causa le nostre comunità cristiane e civili e mettendo, di fatto, davanti alla propria responsabilità tutti coloro che hanno responsabilità politica. Ho scritto e dialogato molte volte su questi temi e non voglio ripetermi, anche perché trovo utili – un po’ riassuntive e un po’ stimolanti – le riflessioni dei tre amici lettori. Sul punto della responsabilità dei politici mi sembra necessario spendere una parola. Mi ha lasciato esterrefatto, anche se dovrei esserci ormai abituato, la nuova sortita di Roberto Calderoli, parlamentare (ed ex ministro) di lungo corso della Lega Nord. Ieri, di fronte al sacrosanto impegno di accoglienza civile e cristiana che a Ventimiglia – frontiera di nuovo emblematica nell’Europa dei duri muri e del sospetto triste e delle regole fragili – vede in prima linea la Chiesa locale, sotto l’impulso del vescovo Antonio Suetta e del parroco padre Francesco Marcoaldi, l’onorevole non ha trovato di meglio che inveire e intimare: «Non usino i soldi dell’8 per mille», che dovrebbero servire solo per gli italiani... Viene da chiedersi se l’onorevole vicepresidente del Senato sia in realtà un marziano, che nulla sa di ciò che la Chiesa (a Sanremo-Ventimiglia come in tutta Italia) fa per i poveri anche (ma non solo) coi fondi dell’8 per mille che gli italiani le affidano. Lo fa da anni, pure per chi non fa quel che potrebbe, a «casa loro», cioè in quello che chiamiamo Terzo Mondo, e «casa nostra», cioè nelle realtà e grandi e piccole di marginalità, esclusione, solitudine di questo Paese. Gli italiani lo sanno bene, Calderoli invece no. Ma forse la spiegazione è un’altra: le cronache segnalano da tempo che il senatore è diventato esperto di cavilli, regolamenti e riforme. Probabilmente pensa che anche il Vangelo possa essere aggiustato ai comodi di un partito o di una setta. Si metta l’anima in pace, non è così. Sta scritto: «Ero affamato, assetato, nudo, malato, carcerato, forestiero… e mi avete sfamato, dissetato, vestito, visitato, accolto». Su questo e per questo sarà il giudizio, anzi già è. Perché i poveri non hanno passaporto. E perché – lo ripeto ancora una volta, con dolore vero – nessuno, cristiano o di qualunque altra fede o pensiero, dovrebbe azzardarsi a usare i poveri gli uni contro gli altri.
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