venerdì 1 agosto 2014
COMMENTA E CONDIVIDI
​Caro direttore,
premetto che sono un chimico, svolgo la professione di insegnante di scuola superiore da ormai 24 anni e posso definirmi una cattolica impegnata nell’evangelizzazione dei poveri di Dio e di pane. La mia esperienza mi dice che a Papi Santi che fanno volare le anime, corrispondono alla base Vescovi e Presbiteri, chiusi e interessati all’aspetto sociale che, seppur importante e urgente, nell’attualità dell’oggi, non è il centro della evangelizzazione che rimane Cristo. L’evangelizzazione «non può limitarsi alla semplice e ristretta dimensione economica, politica, sociale o culturale, ma deve mirare all’uomo intero, in ogni sua dimensione, compresa la sua apertura verso l’assoluto, anche l’Assoluto di Dio» Evangelii Nuntiandi, 33). Gli aspetti sociali sono una conseguenza della scelta di Dio, e in nessun modo eventi salvifici. Come la mettiamo con il popolo di Dio, con i suoi bisogni e le sue richieste di spiritualità, che illuminano i vari settori sociali e danno le ali all’anima perché si senta responsabile del piano di Dio sulla Chiesa?
Cristina Floro, Termoli (Cb)
 
Gentile direttore,
«l’unica possibilità che abbiamo è l’amore», diceva Thomas Merton. E Papa Francesco, in occasione della sua recente visita a Gerusalemme ha affermato: «Non c’è pace senza giustizia». All’Angelus del 20 luglio ha dato nome al responsabile del male nel mondo, che «non proviene da Dio, ma dal suo nemico, il maligno (…). È curioso, il maligno va di notte a seminare la zizzania, nel buio, nella confusione (…) Vi esorto a perseverare nella preghiera per le situazioni di tensione e di conflitto che persistono in diverse zone del mondo, specialmente in Medio Oriente e in Ucraina. Il Dio della pace susciti in tutti un autentico desiderio di dialogo e di riconciliazione. La violenza non si vince con la violenza. La violenza si vince con la pace!». La Chiesa opera nel mondo con l’annuncio e la preghiera, ma ancora di più nell’essere operatrice di giustizia e di pace, far conoscere l’amore di Dio diffonde la Verità che genera il bene, la giustizia, la pace e la fratellanza dei popoli. La misura e la qualità di questa testimonianza, la indica San Paolo: «Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me» (Gal 2,20). La pienezza della vita dell’uomo e del mondo discende dalla relazione stabile con Dio. Solo una «un’Ecclesia audiens» (Karl Barth) può essere «Ecclesia docens», cioè parola autorevole perché realizzatrice, efficace per i cristiani e significativa per l’uomo di oggi. Enzo Bianchi, priore di Bose (nel suo libro del 2003 "Cristiani nella società"), infatti scrive: «L’essere della Chiesa e del cristiano non coincide né con la capacità di elaborare uno stare nel mondo, né con un progetto di liberazione, di giustizia e di pace, tutto questo è ovvio, ma la differenza dell’essere Chiesa e cristiano è nel bisogno di realizzare la pace, la giustizia e il bene attraverso la logica della croce, quale segno eloquente del passaggio dalla morte alla vita del Risorto».
Ma intanto i governi spendono miliardi e miliardi di euro in armamenti. Ventuno Paesi europei, dal 2008 al 2012, hanno fornito armi per 1 miliardo e 160 milioni di euro a diversi altri Paesi ora in guerra. E quando un Paese è pieno di armi, la guerra è sicura, e sicure sono le provocazioni necessarie a scatenarla. I leader degli Stati e i responsabili di focolai di guerra, accesi in varie parti nel mondo, accolgano il monito di Papa Francesco, comprendano che la migliore risoluzione dei problemi sta nell’assumere la decisione coraggiosa del ripudio della guerra, per assicurarsi la sicura vittoria e il vero benessere. L’impegno per la pace, la cessazione di ogni guerra e la fine della produzione di armamenti, è un impegno di lunga durata per giungere all’eliminazione completa della guerra dall’orizzonte dell’umanità, per cui occorre investire sulla cultura della giustizia, la quale garantirà pace e vita al mondo. E così, come scriveva don Tonino Bello «La città, il mondo, reso più umano, sperimenterà un traboccamento di pace».
Padre Emanuele (Pasquale) Iovannella, ofm conv
Cappellano di bordo, Apostolato del mare Cei
 
Pubblico in sequenza le vostre due lettere, cara professoressa Floro e gentile padre Emanuele, perché mi pare che si integrino a vicenda e che la riflessione del «frate francescano» illumini quella – anche critica – della «cattolica impegnata». Aggiungo che la bella citazione dalla Evangelii Nuntiandi di Papa Paolo VI ha un incipit che, a mio parere, non può essere dato per scontato e che contiene già la risposta alla questione che viene posta dall’amica lettrice molisana (metto in corsivo le due parole chiave): «La liberazione che l’evangelizzazione annunzia e si sforza di realizzare non può limitarsi…». Mi pare, poi, utile richiamare tre passaggi della Evangelii Gaudium di Papa Francesco. Il primo ci ricorda che «ogni cristiano e ogni comunità sono chiamati a essere strumenti di Dio per la liberazione e la promozione dei poveri, in modo che essi possano integrarsi pienamente nella società; questo suppone che siamo docili e attenti ad ascoltare il grido del povero e soccorrerlo» (187). Il secondo, rivolgendosi a tutti coloro che sono parte della Chiesa cattolica, sottolinea che «la peggior discriminazione di cui soffrono i poveri è la mancanza di attenzione spirituale. L’immensa maggioranza dei poveri possiede una speciale apertura alla fede; hanno bisogno di Dio e non possiamo tralasciare di offrire loro la sua amicizia, la sua benedizione, la sua Parola, la celebrazione dei Sacramenti e la proposta di un cammino di crescita e di maturazione nella fede. L’opzione preferenziale per i poveri deve tradursi principalmente in un’attenzione religiosa privilegiata e prioritaria» (200). Il terzo riguarda il dialogo sociale come contributo alla pace: «L’evangelizzazione implica anche un cammino di dialogo. Per la Chiesa, in questo tempo ci sono in modo particolare tre ambiti di dialogo nei quali deve essere presente, per adempiere un servizio in favore del pieno sviluppo dell’essere umano e perseguire il bene comune: il dialogo con gli Stati, con la società – che comprende il dialogo con le culture e le scienze – e quello con altri credenti che non fanno parte della Chiesa cattolica. In tutti i casi “la Chiesa parla a partire da quella luce che le offre la fede”, apporta la sua esperienza di duemila anni e conserva sempre nella memoria le vite e le sofferenze degli esseri umani» (238). Trovo queste indicazioni di straordinaria, incalzante e pacificante efficacia. E posso dire che la mia esperienza di cristiano e di giornalista – che, ovviamente, non vale più di quella della professoressa Floro – mi ha fatto incontrare tanti uomini (e donne) di Chiesa che nel loro «ascolto» della realtà e nel quotidiano e appassionatissimo servizio alla persona umana – soprattutto povera, soprattutto sofferente per ingiustizia, per malattia e per guerra – hanno sempre mantenuto saldo e testimoniato in modo coinvolgente il senso della missione evangelizzatrice. L’impegno sociale dei cristiani non “chiude” il Vangelo, ma punta ad aprirlo nella vita del mondo. È così da duemila anni, ed è fin troppo semplice a dirsi e assai impegnativo e spesso duro a farsi: siamo chiamati a lavorare per rendere più umano e fraterno un mondo che, pure, non esaurisce il nostro orizzonte. Essere innamorati di Cristo dà ali e fa alzare lo sguardo ma, al tempo stesso, lo inchioda realmente sul volto dell’altro e dell’altra, chiama sulla strada di Gesù e alla fatica del Cireneo, fa aderire – proprio come scrive Enzo Bianchi – alla «logica» della Croce. Una logica che capovolge i paradigmi della potenza e del successo e salva già nel “qui e ora”, se siamo capaci di fede e di carità, se amiamo la verità e abbiamo la tenacia del bene. E questo è tanto più vero, secondo la parola delle Beatitudini, quando la violenza e la sopraffazione sembrano averla vinta e il male pare avviato al trionfo. Dobbiamo ricordarlo con più forza in questi giorni di guerra, di morti bambine, di esilio dei giusti che si consumano certamente in Medio Oriente e, a causa della crisi ucraina, nella nostra stessa Europa, ma ancora e sempre in zone d’Africa, d’Asia e d’America Latina delle quali, qui in Italia, quasi solo i lettori di “Avvenire” sanno con continuità qualcosa d’importante eppure mai abbastanza. In un tempo di globalizzati e bellicosi egoismi e di più che mai necessaria e disarmante solidarietà, ci è chiesto con insistenza di preservare ed esercitare la nostra comune umanità e di dar ragione della nostra cristiana speranza.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI