venerdì 29 maggio 2015
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Caro direttore,
vorrei far giungere a Umberto Folena il mio apprezzamento per l’editoriale di giovedì 28 maggio 2015: alla spirale del silenzio – che ha raggiunto il suo polo, cioè il suo obiettivo, anche questa volta – è seguita la fiera del commento; tra una bancarella e l’altra, tra venditori che sbraitano, la voce di Folena mi è sembrata pacata e dotta, quindi degna di attenzione. Mi domando, però, quali siano le strategie per evitare la formazione della spirale. Cosa impedisce la creazione di maggioranze incoscienti? Come fronteggiare i cannoni di certi media? L’assalto alla baionetta, lo ricordiamo proprio in questi giorni di memoria, non è tattica vincente. A colpi di "yes" o "no" sembra sia stata condotta la battaglia irlandese: hanno vinto i "sì", perché avevano i cartelloni più grandi e più colorati. Il pensiero, che è impegnato a soppesare tutti gli aspetti della realtà, sembra non reggere il confronto con l’ideologia che, invece, essendo parziale per sua natura, può impegnare tutte le sue risorse in quell’unico scontro che definisce la sua esistenza o la sua morte. Caro direttore, cosa può fare un ventenne come me imbrigliato in una spirale? Sganciarsi e correre in università, dove matura il pensiero critico. Affidarsi al lògos e, quindi, a Dio, che non è buia spirale, ma intelligenza che fa luce sul mondo e sulla storia.
Carlo Maria Cattaneo - Gorla Minore (Va)
Sì, caro e giovane amico, penso anch’io che la riflessione di Umberto Folena sulla «spirale del silenzio» (la convinzione che gli altri pensino una determinata cosa induce ad adeguarsi al pensiero ritenuto dominante) e sulla sua rischiosità fosse molto utile e intonata. Per questo l’ho proposta tra gli editoriali con i quali stiamo accompagnando e alimentando il dibattito riaperto dal dopo-voto referendario in Irlanda sulle nozze gay. A partire da qui, lei – ventenne – mi chiede che cosa può fare per non farsi «imbrigliare» dal dis-umano e dal post-umano travestiti da diritti di libertà. Ma vedo, dalle sue conclusioni credenti eppure serenamente razionali, che in sostanza dove guardare e che cosa fare lei lo sa già, e questo mi mette allegria e rafforza anche la mia speranza. Comunque, non mi sottraggo alla questione e le dico ciò che credevo, io, a vent’anni e che non ho smesso di credere oggi che ne ho quasi il triplo: un ventenne, una ventenne, può costruire, con la sua stessa vita, un futuro diverso, perché anche lui o lei, anzi lui o lei più di tanti altri, persino più di chi oggi ha in mano un potere, è il futuro. Perché ogni ventenne è il tempo che già viene. È l’inizio di un processo che potrà essere molto buono, molto umano e, se ha incontrato Cristo o se si farà incontrare da Lui, molto evangelico. Un "processo" che potrà far bella la sua propria esistenza e cambiare un concreto pezzo di realtà, un lineamento della faccia del mondo. Un ventenne può rinunciare a disperarsi o a bearsi (i due atteggiamenti, soprattutto quando le energie non mancano, finiscono spesso per sovrapporsi e, a tratti, per coincidere persino con adrenalinico compiacimento) per il fatto di dover “andare controcorrente” e mettersi a lavorare sodo per incidere sul flusso dei pensieri e dei sentimenti che tendono a dominare le nostre vite, per impedire che prevalgano le idee arroganti e tristi, e i gesti conseguenti, dell’autonomia individuale assoluta e dell’assoluto interesse individuale che pretenderebbero di affermarsi come “visione unica” e che, invece, non sono affatto inevitabili e neppure così affascinanti. Un ventenne può capovolgere quella corsa e iniziarne un’altra: può farlo se sa guardare in alto, se non si fa convincere che conta solo lui, se si rende conto che è fatto per cooperare con altri, e che nella diversità c’è ricchezza e nella diversità fondamentale maschile/femminile c’è giustamente la radice stessa della vita.
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