martedì 13 gennaio 2015
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Caro direttore,
è sabato notte e scrivo senza alcuna attenzione alla forma, scrivo come viene, perché domani probabilmente non sarà più come ora, non sarà più così bello. Scrivo perché non posso tacere, e scenderei persino in piazza non con una matita alzata, ma con questa testimonianza che spalanca il cuore e mi fa urlare che la speranza c’è ancora. Come tutti ho seguito i fatti di questi giorni, come tanti mi sono indignata, arrabbiata, rattristata. Ho cercato articoli, commenti mi sono confrontata con chi mi stava più vicino. Ho cercato di capire e ho preso in mano l’Enciclopedia delle religioni, sotto la voce «islam». Io credo. Credo nel Dio che mi hanno affidato i miei genitori, credo nel Dio che mi ha cercato e mi ha fatto innamorare di Lui, credo nel Dio che ci ha consegnato Suo Figlio, morto in croce pur di salvarci. Ma di fronte alla vastità di quel libro, che contiene tutte le religioni del mondo, la mente non può che vacillare. Non può che chiedersi se una pagina non valga l’altra, se si possa davvero costruire la propria vita solo su una voce dell’elenco. Di fronte alla diversità di tutte le religioni, mi sono chiesta se davvero non fosse meglio – come intellettuali e opinionisti vanno predicando – che non ce ne fosse nessuna, che le pagine fossero bianche. Forse così gli esseri umani smetterebbero di ammazzarsi a vicenda. Ma questa sera qui in questa mia terra ambrosiana, nel nostro lembo di Lombardia, ho incontrato lei, una ragazza musulmana, che frequenta come animatrice il nostro oratorio. Era lì per una riunione e, poi, al momento della preghiera del vespero è entrata con noi in cappella. Seduta di fianco a me ha tenuto in mano il foglio in modo che sia io che un altro ragazzo al suo fianco potessimo seguire la preghiera. Ci ha preso per mano quando abbiamo recitato il Padre Nostro, pur non condividendo la nostra preghiera. Lei non ha pregato, ma con quel gesto mi ha spalancato il cuore. Con al fianco quella ragazza, con la sua mano nella mia ho capito che non possono essere le religioni a dividere. Non posso convincervi di questo, ma provate, sedetevi al fianco di chi è diverso da voi dategli in mano la vostra Bibbia, il vostro Corano, e pregate. Capirete allora di non essere tanto diversi, di essere custodi gli uni degli altri e il cuore vi si spalancherà di gioia. Questa è la vera libertà. Non il potersi offendere liberamente, ma stendere il tappeto, aprire il breviario, fare silenzio, accendere l’incenso, in modo che l’altro possa pregare il suo Dio. In modo che l’altro possa ringraziare del dono che ha al fianco. Questo libera!
Elena Fornari
Chi avrebbe voluto fare bianche le pagine scritte dalla fede – dalle fedi – nel gran libro della storia, ha sempre finito per riempirle di rosso sangue e di nero morte. E io, cara e gentile amica, non ho alcuna paura di dire che la comoda presunzione di quanti vorrebbero caricare sulle spalle di Dio (il Dio unico dei monoteisti cristiani, ebrei e musulmani), il peso delle feroci logiche che segnano di guerra e di sofferenza il libero mondo degli esseri umani è la sorella minore (ma non meno folle) della presunzione di chi pensa di usare la parola di Dio per armare le proprie mani e imporre «sul filo della spada», con lo strumento di un jihad tragico, la propria visione religiosa. Sono figlie di una stessa madre: la «non accoglienza», dell’Altro che – divino o umano – è invece sempre essenziale e maiuscolo. E provengono da uno stesso padre: lo «scarto» dell’idea stessa di fraternità (saremmo tutti figli unici, individui risolti in noi stessi) cioè del valore che fonda, riempie, limita e orienta alla pienezza della convivenza la libertà e l’uguaglianza civile e la libertà e la fedeltà religiosa. Ma, cambiando metafora, l’una presunzione è anche incubatrice dell’altra. Una società segnata a una «laicità negativa» scostante (cioè emarginante e persino segregante per la dimensione di fede) eccita estraneità e antagonismi fondamentalisti, come si dice oggi da foreign fighters, cioè – appunto – da «combattenti stranieri». E il fondamentalismo religioso eretto ad annichilente sistema di potere, di persecuzione e di ingiustizia, riempie gli arsenali di coloro che disprezzano lo spazio pubblico delle fedi, intendono cancellarlo e perciò, in molti modi, a esse muovono guerra. Di questa tenaglia, che si fa facendo stringente, dobbiamo liberarci e dobbiamo saperlo fare proprio adesso, anche se proprio adesso sembra più difficile. Le dico dunque due volte grazie, cara Elena, per questa sua «testimonianza» (che resta bella e lo diventerà ancor di più, mi creda, nel tempo che ci sta davanti). Grazie per come mette davanti agli occhi di tutti – credenti e no – un’immagine concreta (e non solo poetica) di quella «cultura dell’incontro» che papa Francesco ci chiama a vivere e a far crescere, “contagiando” le nostre città e, poco a poco, rendendo migliore il mondo. Grazie perché ricorda – a chi crede, e magari se ne dimentica – che l’arma definitiva contro l’ebbrezza e l’insensatezza della violenza e della guerra è la preghiera a Dio. Chi sa pregare, sa rispettare e accompagnare – senza fare confusioni – la preghiera degli altri e sa viverci insieme. Chi sa pregare, non sa uccidere e sa farsi strumento di pace.
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