martedì 19 febbraio 2013
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Gentile direttore,
la dichiarazione dell’onorevole Berlusconi sulle «esigenze» delle imprese italiane che all’estero intendano conseguire o mantenere un business, suona – una volta che ne sia grattata l’esile scorza superficiale – esattamente in questi termini: le imprese che agiscono su mercati difficili (perché ad esempio non democratici) possono corrompere, perché altrimenti non riuscirebbero ad acquisire accesso a quei mercati. Possono farlo perché devono farlo, insomma, e non si può pretendere che si agisca diversamente. Oh giudici pazzi che pensate di disturbare la quiete del business transnazionale in salsa italiota! Non è la vicenda concreta di Finmeccanica che importa qui: ne deciderà la magistratura. Importa invece l’abito mentale che sta dietro le parole di un candidato alla guida di questo Paese. Bel biglietto da visita: una politica per le operazioni economiche internazionali frontalmente opposta a quella che le Nazioni Unite, l’Unione Europea, l’Ocse cercano di perseguire – e far perseguire a livello mondiale – con il consenso di tutti i Paesi democratici: non foss’altro perché la politica di contrasto alla corruzione è perseguita mediante convenzioni internazionali, fra l’altro sottoscritte e ratificate, sia pure con incertezze e ritardi, anche dall’Italia. Il nostro stesso ordinamento, d’altronde, prevede ormai che costituisce corruzione internazionale ogni indebito pagamento fatto a pubblici funzionari stranieri o internazionali per acquisire o mantenere un affare in operazioni economiche internazionali: non sono i giudici ma la legge (il diritto internazionale) che pretende un comportamento non corruttivo da parte delle imprese. Certamente, le scelte di strategia politica sono tutte legittime; basta che sia chiaro che, con queste prospettive e di questo passo, l’Italia si avvia non già ad essere un Paese democratico che investe in Paesi non democratici, ma a sua volta uno Stato canaglia: così, almeno, avremo un motivo comprensibile per non dover adempiere ad obblighi internazionali che ci pesano così tanto.
Alberto di Martino professore di diritto penale Scuola Superiore Sant’Anna, Pisa
Non c’è dubbio, caro professore: le leggi vanno rispettate e fatte rispettare e chi è sospettato di averle violate va processato. Sempre, anche quando possono sembrare, per un qualche contingente motivo, controproducenti. E sempre secondo giustizia. Lo sanno bene coloro che obiettano per ragioni morali a leggi ingiuste e si caricano consapevolmente delle conseguenze della loro battaglia civile, soprattutto sotto regimi illiberali che non riconoscono spazio alla libertà di coscienza. Questa responsabilità è tanto più chiara quando lo “strappo” alla legalità è anche palesemente frutto di un’azione immorale. E vorrei proprio sapere chi dubita del fatto che giocare e guadagnare sporco, con le tangenti, sia una scelta ripugnante anche sul piano morale. Premesso questo, non credo proprio che l’Italia possa sviarsi da quella che sabato scorso abbiamo definito in prima pagina, con un severo e sereno editoriale di Paolo Borgna, semplicemente la strada «giusta» e «pulita». Non credo, cioè, che anche solo per superficialità o per comprensibile ansia da crisi economica, possiamo metterci sulla triste via da “Stato canaglia” che lei paventa. Credo, infatti, che in questo nostro Paese ci siano tantissimi cittadini di ogni età, di ogni condizione e – lo sottolineo – di ogni convinzione politica che non tollerano e non scusano in alcun modo corruzione e cinici maneggi. Certo, ci rendiamo tutti conto che da quella che è stata definita «la nuova Tangentopoli» va emergendo l’aumentata arroganza di spregiudicati, approfittatori e autentici ladri, ma io registro – e non sono il solo – che contemporaneamente è cresciuta persino di più la voglia di correttezza e di legalità. Credo, insomma, che la grande maggioranza di noi cittadini sia contenta che Governi e Parlamenti della Repubblica abbiano sottoscritto e ratificato (e pazienza, a questo punto, se con poco solerzia...) le importanti convenzioni internazionali sulla lotta alla corruzione e al malaffare. E credo che questa stessa grande maggioranza sia addirittura fiera – nonostante problemi e lentezze della macchina giudiziaria – di ritrovarsi uno o due passi avanti, rispetto a qualche altro rinomato Paese, nel contrasto di pratiche immorali, che devastano il costume civile e rovinano anche chi, per un po’, se ne giova. So già che qualcuno dirà che sono ragionamenti troppo ottimistici o, magari, mi darà dell’illuso. Ma sono convinto che, in realtà, pericolosamente illuso è chi ritiene e proclama che la strada storta possa portare in paradiso se stesso, i suoi concittadini e il “sistema Paese”. Certo, una battuta può venire male a tutti. Anche due o tre o quattro. Persino di più a chi, per indole, ne fa in serie. L’importante è imparare a frenarsi e avere la forza di correggersi. Beh, anche chi non è d’accordo con Silvio Berlusconi, deve riconoscere che l’ex premier s’è poi corretto e spiegato. Rientrando, bene o male, nelle convenzioni (internazionali). Resta il fatto che certi pensieri non bisognerebbe farli neanche per sbaglio. Corrotti e corruttori non sono mai eroi, sono malviventi.
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