sabato 12 aprile 2014
COMMENTA E CONDIVIDI

Caro direttore,Renzi vorrebbe eliminare il Senato. Ma ormai c’è da chiedersi perché solo il Senato? Con tanti e tali giudici che fanno e disfano leggi a che ci serve più il Parlamento? Se lo immagina, direttore, il risparmio? Non più parlamentari superpagati e superpensionati, non più uscieri con stipendi da supemaneger, non più auto blu. E poi non più spese per le votazioni. E d’altra parte, con giudici dotati di cotanta “saggezza”, a che ci servono i parlamentari?Flavio Dal Corso, Noventa Padovana Gentile direttore,un magistrato ha riconosciuto a una coppia la genitorialità di un bambino ottenuto all’estero mediante utero in affitto (pratica proibita in Italia), un altro magistrato ha riconosciuto il matrimonio tra due omosessuali effettuato all’estero, affermando all’incirca che non crea rischi per la pubblica sicurezza (è per questo che da noi non è consentito, vero?). A quando la magistratura cosiddetta “creativa” riconoscerà la poligamia, se un cittadino italiano, convertitosi all’islam, tornerà da un Paese a maggioranza islamica con tre legittime mogli oltre a quella lasciata in Italia? E come mai noi italiani continuiamo a votare per mandare a Montecitorio dei parlamentari per legiferare?Massimo Sanfilippo, Fiesole (Fi)  Gentile direttore,ora l’abbiamo capito, perché il presidente Napolitano non ci fa più votare! Tanto non serve eleggere dei nostri rappresentanti per legiferare, se poi la Consulta, il Tar o un qualsiasi giudice dichiarano le leggi incostituzionali o inapplicabili o superate, stravolgendole completamente. Quattro signori in toga e un po’ di altri burocrati, purtroppo, hanno l’immenso potere di decidere per 60 milioni d’italiani: azzerano la legge sulla fecondazione eterologa e si permettono anche di stabilire chi può convolare a “giuste” nozze. Così, però, giustificano di fatto chi diserta le urne. Che ci si va a fare se il “popolo sovrano” conta come il due di picche quando la briscola è quadri... Enzo Bernasconi, Varese

Gentile direttore,quando la volontà si sostituisce alla natura, alla storia, alla verità, è il segno che l’uomo non è più uomo. È il segno che l’uomo ha smarrito la sapienza, l’intelligenza, il discernimento, la capacità propria del suo essere di leggere ciò che è bene e ciò che è male. È il segno che si è fatto lui stesso principio di bene e di male, di giustizia e ingiustizia, di diritto e di dovere. È il segno che siamo precipitati nel vortice, nel buco nero del non senso, dell’irrazionalità, della stoltezza, dell’insipienza, dell’empietà, dell’idolatria. È il segno che la volontà dell’uomo è stata costituita fonte, sorgente unica assoluta di verità, della stessa verità della natura. Anche un tempo certe cose avvenivano. Sempre la volontà dell’uomo si è costituita legge per gli altri. Lo attesta la morte di Cristo Signore in Croce. Lui è stato condannato non per giustizia, ma per invidia e stupida diplomazia. Era però questa una legge non scritta. Quello che è grave oggi è che sulla volontà dell’uomo si scrivano le leggi contro la stessa natura, contro la stessa storia. Il dono della vita, per generazione, è legge inviolabile della natura. Corpo, anima, spirito dell’uomo sono una sola, un’unica vita. La generazione di una vita è per natura comunicazione di tutto l’essere di un uomo e di una donna che sono divenuti una cosa sola, un solo corpo, una sola carne, un solo spirito, una unità indissolubile. La generazione di una vita non è un assemblaggio: si prende uno spermatozoo, un ovocita, si feconda in officina, si porta in sala impianto e si fa crescere con sangue alieno. Pensare la generazione di una vita umana sul modello della catena di montaggio è la cosa più mostruosa che si possa immaginare. Non insorgo perché sono cattolico, credente, cristiano. Insorgo perché sono uomo, perché mai vorrò essere pensato come una macchina posto su una catena di montaggio. Insorgo perché sono un cittadino, che vive in un Paese dove vige una Costituzione di marca “personalista” e che parla chiaro anche su questi punti. Insorgo Perché mi sento profondamente offeso nella mia intelligenza umana. Perché vedo l’idolatria cui oggi si è giunti e la perdita da parte di troppi spettatori di almeno un rigurgito di umanità. Quando l’intelligenza tace è il segno che essa è morta. Quando la sapienza fa silenzio è il segno che essa è sepolta ed è in decomposizione.don Giuseppe Comi, Catanzaro Caro direttore,la sentenza della Corte Costituzionale che cancella il divieto di fecondazione artificiale eterologa previsto dalla legge 40 è solo l’ultimo episodio di una lunga serie. Parti della legge erano già state intaccate. Altre, verosimilmente, lo saranno in un futuro non troppo lontano: già due coppie che avevano “affittato” uteri all’estero contro un divieto sancito esplicitamente dalla stessa legge 40 sono state assolte. La vicenda della legge 40 mostra, a mio parere i limiti della strategia “parlamentare” nel campo della bioetica. Accettare di “ridurre il danno” introducendo norme articolate in campi in cui l’unica norma giusta (nel senso più profondo della parola) sarebbe il divieto assoluto significa, di fatto, mettere nelle mani dei giudici la questione. Anche quando a grande maggioranza gli italiani sostengono una legge, come nel caso del referendum sulla legge 40, certi giudici si sentono svincolati dalla volontà popolare. Ed è ormai chiaro che non c’è legge che possa resistere all’attacco della “giurisprudenza creativa”. Urge un cambio di strategia per affrontare le prossime sfide del “biodiritto”: eutanasia, matrimonio tra persone dello stesso sesso, adozioni alle coppie omosessuali. Credo che negli anni a venire serviranno meno collaborazione legislativa e più denuncia. Serviranno meno dibattiti nei talk show e più piazza. Come in Francia. Il primo appuntamento è la legge Scalfarotto: nessun compromesso è possibile, nessun emendamento sarà sufficiente ad emendare una legge che vuole punire le opinioni con il carcere. Al neonato Nuovo Centro Destra, partito al governo che riunisce la maggior parte dei parlamentari che si sono opposti alla legge liberticida dico che questa è il suo grande appuntamento politico: faccia capire che contano più i princìpi che le poltrone. Che conta più la democrazia che la stabilità istituzionale. Abbia il coraggio di minacciare l’uscita dalla maggioranza in caso di approvazione della legge Scalfarotto. Sono sicuro che questo gioverebbe anche da un punto di vista elettorale, qualunque fosse l’esito della vicenda. Sicuramente gioverebbe al valore della sua proposta politica.Benedetto Rocchi, San Polo in Chianti (Fi) Caro direttore,è un fatto: la sentenza della Consulta nega quanto scritto nell’articolo 1 della legge 40, che assicura i diritti di tutti i soggetti coinvolti, compreso il concepito. Bisognerà forse riscrivere la Costituzione e aggiornarla sancendo che in Italia il potere giudiziario nei suoi diversi gradi sino a quello massimamente di garanzia non applica solo la legge, ma ha assunto a tutti gli effetti un ruolo legislativo che sovrasta anche la volontà del Parlamento e di un voto popolare?Luca e Paolo Tanduo, Milano Gentile direttore,un tribunale di Grosseto ha dunque imposto al Comune di registrare una unione civile tra persone dello stesso sesso contratta all’estero. Ma come fa un giudice ha emettere una sentenza che è contraria alla legge vigente e contraria a sentenze precedenti emesse anche dalla Cassazione? Ma un giudice è onnipotente? E se ci fosse un giudice in malafede, potrebbe usare la legge, non per farla rispettare ma per portare avanti le proprie ideologie? Meno male che la sentenza è stata impugnata dal pm. Stavolta, è un atto più che dovuto.Fabrizio Sellan, Ariccia (Rm)

Da diversi anni ormai mi ritrovo a ragionare – senza alcuna allegria e con la tenace speranza di una positiva “svolta” – su un tema aspro: il distacco, il dinsincanto, la contrarietà e persino il fastidio con i quali troppi cittadini guardano all’insieme dei nostri poteri istituzionali e alle vicende e agli scontri di cui essi sono protagonisti. Si tratta spesso di “uscite”, per eccesso, per straripamento, dal ruolo (e dallo stile) proprio di ognuno di questi poteri. Tracimazioni che spesso, anche per ciò che scatenano a livello di opinione pubblica, diventano (o fanno evocare o, addirittura, invocare) perdite di ruolo. È toccato al Parlamento, al Governo, anche alla Presidenza della Repubblica. Ciclicamente e sempre più di frequente tocca alla Magistratura. Lo scrivo ancora una volta quasi con fatica, rinnovando rispetto e gratitudine per i tantissimi magistrati italiani che ogni giorno servono la legge e il popolo italiano compiendo il loro dovere con scrupolo e saggezza, ma il problema della “giurisprudenza creativa”, cioè della manipolazione, della disapplicazione mirata e addirittura della novazione delle leggi compiute in talune sedi di giudizio è un problema davvero serio e, purtroppo, sempre più grave. Le voci degli amici lettori che precedono questa mie riflessioni sono solo una parte del coro che si leva in molti modi (non tutti adeguati, ma tutti meritevoli di attenzione) e che si esprime anche attraverso le lettere che continuano ad arrivare nella nostra redazione. Si tratta di un segnale di crisi e di allarme che non può più essere sottovalutato da nessuno. Qui, proprio qui, nella nostra Italia, per reiterate e squassanti iniziative su temi delicatissimi come quelli della vita nascente o morente e della vita in comune delle persone, si sta mettendo in questione non più soltanto l’efficienza di un sistema giudiziario, ma il senso stesso di una funzione essenziale per la vita civile e per la composizione pacifica dei conflitti in qualunque società e tanto più in un società democratica fondata sulla chiara attribuzione e distinzione dei poteri cardine. Continuare a far finta che il caso non esista è molto pericoloso. E chi pensasse di ridurlo a una questione di insofferenza “cattolica” per alcune pronunce giudiziarie sgradite, sbaglierebbe due volte. La prima perché i cattolici, che mai rinunciano ai doveri di coscienza (che li portano ad abitare anche le piazze, se e quando serve, ma non a farsi sviare da vecchie e nuove forme di “Aventino”, lontano dai luoghi della rappresentanza e da dovere di «immischiarsi» per una politica orientata al bene comune), rispettano le leggi della comunità civile di cui sono parte, le sue istituzioni e accettano le regole del gioco democratico. La seconda perché i metodi sbagliati, se si affermano, riguardano proprio tutti e prima o poi toccano tutti. La soggezione di ogni giudice alla legge stabilita dalle assemblee elettive è un laicissimo presidio di democrazia e di libertà. Serve davvero ricordarlo?
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI