sabato 20 giugno 2015
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Caro direttore, sia chiaro, non è solo sfilando che si cambierà il mondo, non è stando di sentinella in silenzio, leggendo un libro e sfidando l’incredulità dei passanti che si darà alla famiglia la dignità che le compete. C’è da ricominciare a vivere il cristianesimo. La verità è che abbiamo sgretolato l’educazione, pretendendo dai figli che siano buoni, bravi a scuola, che non creino fastidi. Meglio non si pongano domande, non si agitino a cercar risposte, meglio che non brucino di quel fuoco vero che vuole dare senso alla loro esistenza. Chi sono, dove voglio andare, per cosa vale la pena di spendere la mia vita, di studiare, di amare, di lottare, sono domande che noi adulti non ci facciamo più, eppure bruciano nel nostro cuore e in quello dei nostri figli. Anche le scuole cattoliche spesso si differenziano da quelle laiche per qualche pratica religiosa messa come un marchietto doc. I genitori? Pronti a sbraitare se in mensa non si usa l’olio d’oliva, pronti a prendere le difese del rampollo se l’insegnante lo riprende, ma pronti a dare alla scuola carta bianca sull’educazione. Qualche volta anche certi oratori sono, pur senza volerlo, vittime della modernità, Cristo è stato messo sull’altare a reggere il moccolo. Come se si trattasse di un messaggio o troppo antiquato o troppo impegnativo. Questo a testimoniare che i primi a non credere nella salvezza e nella proposta cristiana siamo noi adulti, abbiamo scordato quanto sia prorompente e attuale il messaggio cristiano, quale novità rappresenti per il mondo. Ci mettiamo in fila ogni domenica per ricevere il Corpo di Cristo, stiamo in silenzio tra le mura rassicuranti delle nostre Chiese dove non ci è chiesto di dare la vita, al massimo un’oretta del nostro tempo. Allora non saranno le manifestazioni da sole a ridire al mondo che Cristo è la vera novità, dobbiamo tornare ad educarci, ma intanto la realtà chiede anche che ci si metta la faccia, che si dica che difendiamo la famiglia, quella senza “ogm”, quella naturale, quella che ha un padre e una madre. La legge tutela le altre convivenze ed è giusto che sia così, ma i bambini non sono merce. Manifestiamo e viviamo, riprendiamo a vivere, perché solo la manifestazione non cambia i nostri cuori.
Nerella BuggioNova Milanese
 
Gentile direttore, mia figlia frequenta una scuola elementare pubblica di Roma, recentemente con mia sorpresa e disappunto ho dovuto apporre la mia firma su un documento scolastico alla voce “Genitore 2” (“Genitore 1” lo aveva opzionato già mia moglie), non le nascondo che ciò mi ha indignato e parecchio, avrei voluto cancellare quella scritta e scrivere “Padre”, non l’ho fatto e sa perché non l’ho fatto? Per evitare potenziali ritorsioni verso mia figlia, esagero? Forse sì, ma i fatti parlano chiaro, a scuola non comandano i genitori e spesso nemmeno le insegnanti, comanda il governo attraverso presidi solerti e inflessibili, e allora diciamolo chiaro e tondo, opporsi a questa colonizzazione ideologica non è possibile perché governo e presidi hanno il coltello dalla parte del manico, si ti opponi sei “omofobo” ed esponi i tuoi figli a potenziali ritorsioni, questo è il motivo per cui tanti genitori non si oppongono, non vogliono fare battaglie sulla pelle dei propri figli.
Andrea G. 
 
Gentile direttore, sono una giornalista, moglie e mamma di tre figli. Le scrivo per condividere una mia riflessione circa l’evento romano di sabato prossimo, 20 giugno. Mi riferisco a “Difendiamo i nostri figli”, la manifestazione che vedrà in piazza tantissimi genitori preoccupati per i tentativi di destrutturazione della famiglia e di «colonizzazione ideologica» che stiamo vivendo. Si annuncia una giornata importante. Chi manifesterà, lo farà per tantissime cose. Certo non per andare “contro” le persone omosessuali, ma altrettanto certamente “contro” le ideologie. Ossia contro il ddl Cirinnà che vorrebbe regolare (malissimo) le unioni gay e contro l’ideologia “gender” che vorrebbe avanzare in ogni dove, finanche nella scuola. Credo che tutti noi, direttore, condividiamo l’obiettivo di combattere discriminazioni ed episodi di bullismo contro i “diversi”, non però quello di insegnare ai nostri bambini a non avere un’identità naturalmente sessuata, per intenderci un sesso maschile o femminile, ma a considerarsi di “genere neutro” e mutevole, portatori di un’identità anche “ambivalente”. La cosa per me più inquietante sono i continui tentativi dei fautori del “gender” di indottrinare i più giovani con nozioni, immagini, video e addirittura “esercitazioni” assolutamente inconcepibili per dei bambini delle medie, delle elementari o – peggio ancora, ma a questo siamo – della scuola materna. A motivo di ciò, mi chiedo, perché secondo lei non tutte le testate giornalistiche stanno dando notizia di questo e risalto all’evento di sabato prossimo?
Patrizia CarolloPalermo
 
Caro direttore, mi è piaciuto moltissimo quando il segretario generale della Cei, il vescovo Galantino dice a commento della manifestazione del 20 giugno e sui brutti progetti di regolazione delle unioni gay e di propaganda filo-gender: «Diciamo di “no” in maniera diversa». E ancora quando ci mette in guardia quando «la passione per il raggiungimento di obiettivi legittimi e condivisi gioca brutti scherzi e si trasforma in rabbia...». Sta scritto: «Date ragione della vostra fede». Dopo tanti e tanti anni di associazionismo e di presenza nel sociale, io sono convinta che ciò che salva sono le relazioni costruite con pazienza in modo trasversale. Un mio caro amico non credente, quando mi presenta in ambiti a noi “leggermente” ostili mi definisce «una cattolica che pensa con la sua testa». A volte come Forum sembriamo “perdenti” perché non otteniamo il risultato, ma quanto lavoro di mediazione (non rinuncia alla verità) e di costruzione relazionale portiamo a casa? «Penso che sia importante che ci siano supposizioni diverse rispetto alla valutazione oggettiva di quello che sta succedendo». Quindi diciamo di “no” in maniera diversa, il 20 giugno in piazza e altrove, ma tutti uniti.
Maria Grazia Colombo
Direttivo nazionale Forum delle associazioni familiari
 
Caro direttore, l’Europarlamento ha sentenziato che «Non si nasce maschi o femmina per natura, il sesso è un fattore socio-culturale che si sceglie e si cambia a piacimento». Mi sembra una colossale euro-idiozia. Potete fare tutte le leggi che volete ma la natura non si cambia. Uno soggettivamente può pensare di se stesso quello che vuole, sentirsi un giorno uomo e il giorno dopo donna o altro, anche un fiore o un arcobaleno o, perché no, un usignolo o una rondine, tanto conta quello che si sente, quello che si vuole, non quello che si è realmente. Ma se lasciamo il mondo della fantasia (o delle fantasie) e torniamo alla realtà oggettiva, il sesso semplicemente è inscritto nel genoma: XY sei maschio, XX sei femmina (salvo nei casi di anomalie genetiche nella differenziazione sessuale). La natura risponde alle sue leggi, non alla fantasia, non ai capricci né alle lobby né ai burocrati di Bruxelles. Questo è un dato di fatto. Certo, la libertà è sacra, quella di dire sciocchezze ma anche quella di dissentire! Ma almeno lasciate in pace i bambini: loro sanno benissimo distinguere un maschio da una femmina e non si faranno prendere in giro da chi vuole confondergli le idee.
Luca Salvi
 
Gentile direttore, si sostiene che l’unica famiglia, fondamento della società sia quella formata da un uomo, una donna e dagli eventuali figli. Proprio dopo aver letto un articolo in questo senso, ho letto un bellissimo scritto su una rivista missionaria in cui si parlava della “famiglia di Betania”. Allora mi sono chiesta se non può essere considerata “famiglia” ogni forma di convivenza basata sul reciproco amore, rispetto, solidarietà e tanti altri valori umani e cristiani. Quello poi che non capisco è perché il riconoscere altri tipi di famiglie debba danneggiare o sminuire la famiglia (chiamiamola così) tradizionale. Personalmente provengo da una famiglia che era composta da due genitori e 11 figli; sono sposata da 55 anni e abbiamo 5 figli. Dico questo solo per confermare che non mi sento né minacciata, né provo alcuna obiezione che Dio grande, misericordioso, accogliente e la sua Chiesa possano accettare chi ha una vita, una sessualità diversa dalla mia e riconoscere loro pari dignità, diritti e doveri fino a parlare di Matrimonio. Penso anche alla parabola degli operai della vigna che si lamentano perché il padrone accetta e compensa gli operai dell’ultima ora proprio come i primi. Invito tutti a rileggere Matteo 20, 13-15. Non possiamo essere gelosi o invidiosi dell’Amore infinito di Dio! La ringrazio per l’attenzione e porgo cordiali saluti.
Marialuisa Pedraglio
 
Caro direttore, scrivo con fatica; ma è un debito alla coscienza. Con mia moglie Raffaella siamo presidenti nazionali dell’Associazione Famiglie Numerose. Anche noi e assieme ai nostri dieci figli sabato (oggi, ndr) saremo in piazza San Giovani. Ci saremo non contro qualcuno, ma per amore alle nostre famiglie, a quelle giovani in particolare: sette dei nostri dieci figli sono già sposati con nove nipotini e due in arrivo. Ci saremo e saremo felici di esserci. Ma con una spina nel cuore per i silenzi e le assenze. Possiamo capire e rispettare. Ma osiamo dire: chi ha avuto l’idea, chi l’ha seguita potrebbe aver sbagliato nei modi di avviare e di procedere, ma non facciamo un altro sbaglio. Non uscendo dalle nostre ragioni, tutti corriamo il rischio di restare soli con esse. La famiglia è a rischio. Non in un qualsiasi tempo, ma nei nostri anni, nei nostri mesi, nei nostri giorni, ora. In Parlamento, in parte della Magistratura e dell’opinione pubblica si dimentica la dimensione sociale del matrimonio e si lascia da parte il rispetto dovuto ai bambini e ai giovani in nome di una loro “rieducazione” basata sul “gender”. In un momento così carico di futuro non basta essere “in comunione” sui valori o sugli obiettivi, è necessario essere “d’accordo”, altrimenti anche le necessarie differenze possono trasformarsi in divisioni, drammatiche davanti a proposte di leggi sulle quali non si possono avere opinioni ma certezze, almeno per il modo con cui sono impostate, e non per le domande cui vorrebbero rispondere: la pace sociale e il bene comune di tutti. Lo scrivo mentre mi avvio verso piazza san Giovanni, soprattutto perché è necessario continuare l’impegno e il discorso dopo il 20 giugno. Guai se non continuasse, se non ci si ritrovasse assieme per capire e per capirci e servire assieme il bene comune.
Giuseppe Butturini presidente nazionale Associazione Famiglie Numerose
 
Quante lettere ho letto in questi giorni, quasi sempre fin nel cuore della notte. E a quante ho risposto privatamente, anche al telefono. Quante lettere accumulate sulla mia scrivania (di legno, ed elettronica) al termine di giornate di lavoro mozzafiato per le vicende – dense, pesanti, umanamente dolorose, ma anche luminose ed elettrizzanti, come la pubblicazione dell’enciclica Laudato si’ – che continuano a riempire le cronache. Al centro di esse pensieri di futuro, perché pensieri sulla famiglia e sui figli. Ne ho selezionate alcune, forti e anche scomode, che vale la pena di leggere per capire sentimenti cristiani e ragioni civili di tantissima gente semplice e vera di questo Paese che, scelga di andare o no in piazza per dire la sua, – cito e interpreto quanto mi ha scritto Nerella Bugio – «manifesta perché vive» per la famiglia e per  la società di cui è parte diffondendo solidarietà e umanità, costruendo relazioni salde (ma non per questo scontate e facili), resistendo alle logiche del capriccio e del mercato, alle vertigini dell’individualismo e della tecnopossibilità, all’edonismo e al consumismo anche sentimentale. Certo c’è pure gente allarmata e persino un po’ impaurita, come Andrea, padre di famiglia che vive a Roma e non sotto una truce dittatura. Francamente, non sono della sua opinione. A me non è toccato di dover firmare un modulo come quello che gli è stato presentato, ma – come ho suggerito già mesi fa ad altri lettori – se mi fosse toccato, non avrei esitato a “manipolare” a mia volta il modulo manipolato scrivendo “padre” sopra alla mia firma o, ancora più semplicemente, cancellando il numerino ordinale (1 o 2) dopo la parola “genitore”. Mi sta benissimo essere chiamato genitore. Genitore, infatti, è termine bellissimo, non equivocabile. Genitore è colui che genera. E per generare bisogna essere in due, padre e madre (anche se poi i casi della vita sono tanti: si può pure restar soli o ricostruirsi una famiglia; si può essere splendidi genitori adottivi o spirituali…). Vogliono rendere equivocabile quel termine potente e magnifico? Non sono d’accordo e lo dico, e so di non essere solo. Lo dico a voce alta, ma senza gridare perché non mi sento portatore di una visione minore e tacitabile per paura o per ipocrisia. Lo dico in modo differente da altri? L’importante è che ci capiamo e ci facciamo capire bene. Ci è stato detto con molta chiarezza e autorevolezza: ci sono maniere diverse di fare battaglie culturali e rendere testimonianze civili, ma il rispetto della verità sulla nostra umanità e il rispetto di ogni persona sono esattamente gli stessi per chi è cristiano e cattolico e, perciò, cerca di vivere rispettando il piano buono di Dio per noi. E questo vale per Marco, per Giuseppe, per Maria Grazia, per Patrizia, per Marialuisa, per Luca…
Mi sento, lo ripeto ancora una volta, uno dei tanti che non sono disposti a rassegnarsi a un gioco di addizioni e di sottrazioni che punta a cancellare le voci scomode perché non allineate al «pensiero dominante» e vuole persino rubarci le parole. Genitore non è una parolaccia, così come non lo è “genere”… Penso che il problema – quando si pone, e purtroppo si pone – sia di chi vuole usare male parole utili e buone. Così come penso che “padre” e “madre” non siano parole-trincea, parole-bunker, in cui rinchiudersi e dalle quali dare battaglia, perché sono – e lo sono per eccellenza – parole-relazione e dunque parole-piazza, dove si può liberamente manifestare (e possono ben farlo anche i cattolici, assieme ad altri, come sarà oggi a Roma, per iniziativa di persone motivate), ma soprattutto dove ci si incontra, dove si dialoga e ci si riconosce, riconoscendo la verità nella vita degli altri. Penso anche che la scuola non sia e non possa essere raccontata in blocco come un luogo dove i presidi, cinghia di trasmissione di diktat politici e burocratici, agiscono come “commissari di governo”. Ho in mente casi precisi, e assurti agli onori (e ai disonori) delle cronache, in cui dirigenti scolastici o insegnanti si sono segnalati per assurdo ideologismo, ma ne conosco molti di più dai quali emerge che le nostre scuole – le scuole pubbliche italiane, statali e non statali paritarie – svolgono tra non piccole difficoltà un prezioso lavoro di formazione (che non è mai la formattazione dei nostri figli) e di integrazione. C’è un bene comune da servire. La famiglia ne è cuore essenziale, e ogni altro non confuso e non confusionario strumento di crescita, di unione e di solidarietà ci è prezioso. Per questo bisogna lavorare e vivere, trovando e salvando le parole giuste da seminare insieme perché portino frutto.Marco Tarquinio
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