lunedì 13 ottobre 2014
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Caro direttore,
ho trentatré anni, ho iniziato il cammino in preparazione del matrimonio e, se Dio vorrà, a maggio mi sposerò. Stamane, leggendo alcuni articoli riguardo al Sinodo mi sono imbattuto, a pagina 4 del suo quotidiano, in un articolo dal titolo: “Spunti di santità nei conviventi? Noi ne incontriamo ogni giorno”. Non le nascondo il mio sbalordimento, perché la mia esperienza dice proprio il contrario. Ma mi permetta di raccontare con ordine. Sono fidanzato con Marta da quasi due anni anche se ci siamo conosciuti appena un mese e mezzo prima. Entrambi lavoriamo, lei è fortunatamente insegnante di ruolo, mentre io ho, a fasi alterne, cambiato moltissime aziende a causa di una persistente precarietà. Sono malato, a causa di ciò ho temporaneamente perso la vista da un occhio e attraverso un intervento chirurgico potrò recuperarla, ma non si sa se durerà: allora perché rischiare un passo del genere? Cosa ci spinge a dire che il matrimonio è desiderabile nonostante le difficoltà? Ogni volta che guardo Marta mi fermo a guardarla e mi accorgo che c’è, non perché io sono bravo, non perché ho fatto qualcosa di speciale, neanche perché sono bello, tutt’altro! Mi accorgo che lei è il dono di un Altro. Essere cristiano significa per me cercare in tutte le cose che vivo l’opera di Cristo, il segno della Sua presenza. Nel rapporto con la mia “morosa” è evidente questo proprio perché io e lei siamo diversi eppure fatti per vivere insieme. Qualche tempo fa, una nostra amica suora, ci ha fatto scoprire le catechesi di Papa San Giovanni Paolo II dal titolo “Uomo e donna lo creò” che affrontano proprio il tema del rapporto di coppia e della vita matrimoniale. Quello che si legge è proprio l’opposto di quanto dicono i due coniugi intervistati nell’articolo! Per noi è una sfida cercare di mantenere vicendevolmente uno sguardo così diverso e se non fosse per il rapporto vivo e salvifico che ogni giorno sperimentiamo con Cristo, non sarebbe possibile lo stare insieme. Io desidero sposare Marta perché riconosco che lei mi è data in ogni istante e perché solo invitando nel rapporto tra noi Gesù è possibile che esista il “per sempre”. Convivere sarebbe semplice e sbrigativo: poche spese, nessun obbligo giuridico, nessun vincolo religioso e se tutto va bene si sta insieme finché dura... magari dura per sempre ma non si sa! Chi convive non guarda fino in fondo alla promessa di Dio, in certi casi arriva a non credere possibile nemmeno che Lui possa operare nelle nostra vita (si chiama peccato contro lo Spirito!), lascia che le preoccupazioni, le difficoltà e le fatiche determinino lui e il rapporto con l’altra. Che tristezza! Il primo dono è la Fede, il secondo è la Chiesa con i suoi pastori e con tantissimi compagni di cammino e tutti gli altri sono una sorpresa quotidiana che cambia sempre e non mi stanca mai! Cordiali saluti
Luigi Falanga
Sono colpito, gentile signor Falanga, dalla sua dedizione, dalla sua dirittura morale e dalla sua fede. Ma stento a comprendere, proprio per la dirittura morale e la fede che la caratterizzano, lo sbalordimento che esprime, la determinazione con cui sembra voler confinare le persone, per i loro atti passati, fuori da una Chiesa–recinto e la sicurezza con cui usa lo straordinario magistero di san Giovanni Paolo II sulla famiglia e sull’amore coniugale per “censurare” ciò che mi sembra aver frainteso o comunque, mi perdoni, superficialmente giudicato. È Dio che fa cose sbalorditive. Cristo tocca la vita delle persone e la cambia, e le logiche del mondo (anche del mondo ecclesiale, che per questo s’interroga e cerca di seguire sempre meglio il suo Signore) non contemplano e non riescono a contenere la semplice grandezza di questa realtà e di questo amore. Di che cosa dunque si stupisce e un po’ si adira, caro amico? Del fatto che una coppia di coniugi cristiani che prepara altre coppie al matrimonio cattolico constati che sempre più persone, soprattutto al Centronord d’Italia, chiedono di sposarsi e frequentano i corsi di preparazione venendo da un’esperienza di convivenza, a volte anche con figli? Che questa stessa coppia di “esperti in umanità” ci abbia testimoniato come tra i conviventi che decidono di richiedere il matrimonio cattolico e di prepararsi a esso – in un’epoca in cui la Chiesa e i credenti sono «chiamati a ridire la bellezza della famiglia» – non pochi dimostrino una forte e “santa” «inclinazione alla giustizia e alla verità»? Che un autorevole padre sinodale abbia parlato, riferendosi appunto a situazioni di questo tipo, di «spunti di santità» anche dentro la vicenda personale e di coppia di donne e uomini già conviventi? Io non ho titolo (né intenzione) per giudicare la vita, la coscienza e la fede degli altri, mi fido della Chiesa, del Papa e della saggezza dei nostri pastori, ma capisco bene che se un uomo e una donna che hanno convissuto decidono di sposarsi o – se preferisce – decidono di impegnarsi solennemente con una promessa di amore e di fedeltà che va oltre i doveri civili perché è deposta, come sacramento, davanti a Dio e nel seno della Chiesa, lo fanno perché sono quantomeno persone che credono, che hanno cambiato sguardo sulla propria esistenza, che sono su un cammino cristianamente e umanamente importante. Sono certo che la loro fatica e la loro gioia, i loro errori e la loro libertà, la loro ricerca e il loro ritorno a casa sono preziosi agli occhi di Dio e della Chiesa e possono essere utili e persino esemplari per i fratelli di fede (ma non solo per loro). E cerco di non vivere mai la sindrome del fratello maggiore nei confronti del minore, il figliol prodigo. Anche perché so, come tanti, di essere un po’ l’uno e un po’ l’altro. Ma so pure che c’è un Padre che sta sulla porta ad attendere il ritorno di chi “si era perduto” e che viene incontro e accoglie. Auguri sinceri per la sua vita e per l’amore che la unisce a Marta, ricambio con cordialità il saluto.
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