venerdì 23 gennaio 2015
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Caro direttore,
sono un ragazzo di diciannove anni e avrei una domanda da porle: quale è il più grande problema dell’Italia, in questo momento, per noi giovani? Vorrei trovare una risposta concreta o quanto più possibile precisa e ho pensato di cercarla in qualcuno che abbia più esperienza di me, più cultura di me e maggiori conoscenze, sullo stare al mondo, del sottoscritto. Vorrei una risposta perché voglio scrivere un libro per la mia generazione. Sulla mia generazione. Voglio scrivere un romanzo leggibile sul progresso perché non c’è niente di pulito, niente di sano; nulla promette un’era di meraviglie. Nulla tranne la parola. E io credo fermamente in essa. È l’unica cosa alla quale credo. Grazie per l’attenzione e il tempo dedicatomi.
Matteo Laconca
Le parole volano, caro Matteo. Come le illusioni che tu non hai. Ma c’è una Parola creatrice, e noi cristiani sappiamo che ci ha dato l’universo intero. E che è speranza che salva. Spero che sia la parola che hai già incontrato e che ti fa «fermamente credere» o, almeno, che sia la parola che stai decifrando e che cerchi con sincera voglia di trovare. Per il resto, vorrei riuscire a dirti che ogni generazione si misura con meravigliose promesse e dolorosi disincanti, e che a ogni generazione questa fatica spetta in modo diverso e speciale. La tua, che è quella delle mie figlie, non fa eccezione. E dunque ti toccano memoria da serbare, prove inedite da superare, idee e orizzonti nuovi da dubitare e abitare, altri e altre con i quali costruire. È questo il “grande problema”, ovunque nel mondo, ed è più di un problema: è la vita, il senso della vita. Ma se proprio vuoi il mio parere sul problema più specifico e grave oggi, in Italia e altrove, credo che il nodo che si va aggrovigliando attorno alle nostre e, soprattutto, alle vostre giovani vite sia soprattutto quello della solitudine. Grandi poteri «multinazionali ma non universali» – uso l’efficacissima immagine scelta da papa Francesco per scuotere il Parlamento europeo – progettano e incentivano un mondo di uomini e donne egocentrici, soli, isolati, diffidenti, separati da “muri” e indifferenti in tutto e a tutto. Infine “riproducibili” anche solo in laboratorio. Un mondo di persone autoreferenziali e manipolabili, povere e impoverite (perché, in un mondo così, solo uno su un milione ce la fa). E investono molta retorica libertaria e la potenza apparentemente infinita di ricchezze irresponsabili e di slogan elettrizzanti per raggiungere questo scopo. Hanno torto. Non ci si può far trascinare dentro questa voragine, bisogna resistere, vivere interamente, amare fortemente, rispettare e dissodare la realtà, fare rete, continuare a pensare ed edificare pezzo a pezzo un mondo diverso. E servono, eccome, lungo questo felice e duro cammino anche i giusti racconti, perché gli uomini e le donne di ogni tempo cercano la compagnia e lo sprone di grandi e coinvolgenti narrazioni, ne hanno necessità come del pane e della vera libertà. Buon lavoro, caro Matteo. E, se questo è il fuoco che porti dentro, buona scrittura.
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