mercoledì 29 ottobre 2014
COMMENTA E CONDIVIDI

Gentile direttore,l’Italia importa dall’Olanda quasi centomila tonnellate di pomodori freschi ogni anno, al terzo posto dopo Germania e Gran Bretagna. Così, grazie alle imposizioni della Commissione europea, per fare il sugo invece del pomodoro di pachino cresciuto placidamente al sole mediterraneo usiamo un pomodoraccio olandese gonfiato in serra. Però il sugo non ha proprio lo stesso sapore. Della Pac (Politica agricola comunitaria) ho pressoché la stessa opinione che Dante aveva dei pisani…Mario Pulimanti, Lido di Ostia (Rm)Caro direttore, ho letto qualche giorno fa su un settimanale notizie raccapriccianti sulla vita e la schiavitù delle contadine, romene di nascita, che coltivano i pomodori nelle serre di Sicilia che poi arrivano nei nostri supermercati. Io vorrei fare obiezione di coscienza: quei pomodori mi vanno di traverso. Comprerò d’ora in avanti solo pomodori lombardi od olandesi. Le contadine, oltre a essere sfruttate e pagate poco e alloggiate male, si sentono costrette ad accettare “inviti” del “padrone” a porno party. E poi vanno ad abortire. Non pensano nemmeno che potrebbero registrare con il telefonino delle prove e poi portarle ai carabinieri per denunciare coloro che commettono anche il reato di induzione alla prostituzione. Mi impressiona anche il disprezzo dimostrato da questi maschi per la loro stessa dignità, come se la responsabilità per le conseguenze delle proprie azioni non ricadesse in capo a loro, che suppongo abbiano più 14 anni... Ma chi li ha educati questi uomini?Elena Passerini, Milano

 

Amo gli «italiani brava gente», perché non è solo un modo di dire. Eppure la sua veemente indignazione, cara signora Passerini, è anche mia: quella denunciata violenza è assolutamente intollerabile. Eppure continuerò a mangiare anche pomodori siciliani, perché i siciliani mascalzoni sono mascalzoni (proprio come i mascalzoni lombardi e come i mascalzoni di ogni altra regione e con qualsiasi passaporto) e perché coloro che riducono donne poverissime in schiavitù anche sessuale meritano condanne esemplari, ma la Sicilia è piena di persone perbene e di produttori agricoli giusti e seri che meritano stima per il loro lavoro.Amo i pomodori fatti buoni – anzi speciali – dalle nostre terre e dal nostro sole, l’ho appena scritto. Ma se fossi in lei, gentile signor Pulimanti, ci andrei piano, molto piano, anzi non ci proverei nemmeno, ad affibbiare etichette dispregiative ai pomodori d’Olanda, che sono coltivati con grande cura, niente affatto “gonfiati” e sani – è proverbiale l’attenzione riservata dagli agricoltori olandesi ai metodi naturali di contrasto ai parassiti delle piante – perché neanche sfiorati dai pesticidi. Per di più, a quanto mi risulta, quei pomodori di serra non sono neppure “segnati” – a differenza dei pomodori provenienti da alcune splendide zone del nostro Paese – dalla fatica ingiusta di lavoratori e lavoratrici sfruttati in troppi modi. Eppure faccio il tifo, proprio come lei, per i saporosi pomodori italiani. Solo che li vorrei buoni sempre, e in tutti i sensi…Detto questo, gentili amici lettori, aggiungo qualche pensiero sparso, ma non casuale suscitato dalle vostre due appassionate lettere. Penso che tutti abbiano diritto a un’informazione puntuale e non nutrita di distorsioni e luoghi comuni e, proprio per questo, produttrice di battute avventate o, magari, un po’ precipitose. Penso che la “politica agricola comunitaria” abbia difetti anche seri, ma che sia infinitamente migliore delle vecchie “guerre civili” (commerciali, e non solo) tra i Paesi del Vecchio Continente. Penso che non bisogna invidiare l’organizzazione degli altri, ma superarla e, dunque, spero che le nostre aziende del settore agroalimentare possano presto contare su regole e supporti di sistema alla vendita e alla distribuzione di tipo olandese. E, infine, penso che la responsabilità più grande per far arrivare sulle nostre tavole pomodori come si deve e per far finire pratiche letteralmente mortificanti per la dignità dei braccianti agricoli, donne e uomini, pesi in parti uguali sulle spalle dei datori di lavoro e dei cittadini-consumatori.L’economista Leonardo Becchetti – soprattutto lui, ma non solo lui – ha scritto spesso sulle pagine di “Avvenire” della possibilità civile e della opportunità morale di esercitare ogni giorno il nostro “voto con il portafoglio”, cioè di vivere a occhi aperti quella buona pratica che porta a premiare con gli acquisti che facciamo aziende che operano bene sul piano della qualità del prodotto, dei diritti dei lavoratori, della relazione con l’ambiente naturale e umano nel quale l’impresa è inserita. Sono convinto anch’io che sia questa la strada maestra per arrivare ad avere nel piatto pomodori e non pomodoracci. Ciò che conta per qualificare i pomodori (come ogni altro frutto della terra e del lavoro dell’uomo) non è solo “dove” nascono, ma “come”. Accade lo stesso con le persone: vale come si è realmente, non da dove si è partiti...

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI