giovedì 29 gennaio 2015
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Copio e incollo dall’articolo che ho letto sul sito internet di “Avvenire” e che lo scorso 15 gennaio intitolato «Risponde su gay e terapie, psicologo condannato». Avete dunque scritto: «La “terapia riparativa” non intende affatto “riparare” l’omosessualità, come fingono di credere gli oltranzisti della sessualità gaia e felice. Ma occuparsi invece di “riparare” la ferita originaria nella relazione con il padre che, secondo alcuni studiosi, sarebbe all’origine dei disturbi dell’identità sessuale». L’omosessualità non è un «disturbo dell’identità sessuale» (semmai lo è il transessualismo), ma uno dei due possibili orientamenti sessuali che può caratterizzare la persona. Delle due, una: 1) o non sapete la differenza tra identità di genere e orientamento sessuale, e allora siete degli ignoranti che non possono permettersi di scrivere sull’argomento; 2) o deliberatamente e strumentalmente fate un’informazione scientificamente scorretta, faziosa e omofoba (non sarebbe la prima volta). Faccio inoltre notare che il termine “condannato” è improprio, visto che le condanne sono di esclusivo appannaggio di un giudice; in questo caso si tratta semmai di un sacrosanto provvedimento disciplinare. Prima di scrivere gli articoli, fatevi un ripassino di cultura generale: ne avete davvero bisogno. Distinti saluti
dottor Andrea Puglia
Non ho cestinato questa lettera sentenziosa e sgarbata sino alla villania solo perché l’argomento, cioè la questione delle sane e fondamentali libertà della persona e della scienza, riproposto clamorosamente dall’ingiustizia subita dal professor Zucconi stanno molto a cuore a noi di “Avvenire” (non a caso, oltre che in sede di cronaca, il 21 gennaio scorso ce ne siamo occupati anche in questo spazio di confronto coi lettori). E proprio una lettera di questo tipo e tono aiuta a capire che cosa c’è in ballo. Affido il cuore della risposta a Luciano Moia, autore dei documentati articoli su quel triste caso di censura liberticida che vede protagonista l’Ordine lombardo degli psicologi, ma non senza aver prima sottolineato che il signore che ci scrive, e che si firma col suo titolo accademico, può avere diplomi di laurea e probabilmente anche di master, e però mostra di non conoscere neanche lontanamente lo stile del dialogo o almeno le regole della buona educazione nel rivolgersi a un qualunque interlocutore... Spero che apprenda l’una e le altre. Come diceva uno straordinario educatore del passato: «Non è mai troppo tardi». Anche per imparare a stare al mondo. (mt)                                                    ********* Gentile dottor Puglia lei ci accusa di ignoranza, informazioni scientificamente scorrette e, addirittura, di omofobia. Mi sfugge il motivo di tutto questo livore, che forse offusca il suo giudizio. Ma la prendo sul serio. Ho – abbiamo – ben presente la differenza tra identità di genere e orientamento sessuale. E lei sa benissimo che quanto più l’identità è fragile tanto più l’orientamento risulta vago e disturbato. Non lo afferma “Avvenire”, ma l’Oms che nel manuale diagnostico, sotto il codice F66 – ICD-10 – parla di «persistente e marcato disagio per il proprio orientamento sessuale» e specifica che se l’individuo desidera un diverso orientamento a causa di disturbi psicologi o comportamentali associativi può farsi curare. Ma questi passaggi, tuttora presenti nel cosiddetto IDC 10 dell’Oms – ripeto: lei sa benissimo a cosa mi riferisco – in polemiche di questo tipo non vengono mai ricordati. Si preferisce continuare a raccontare che l’Oms ha cancellato nel 1987 la categoria diagnostica di «omosessualità ego-distonica». Cosa che è vera. Ma se non si specifica tutto il resto, se lo si rimuove, allora sì che c’è un’opera di informazione parziale e ideologica. Per quanto riguarda, poi, la differenza tra “condanna” e “provvedimento disciplinare” lei ha ovviamente ragione, in termini giuridici. Ma il senso politico della sanzione decisa dall’Ordine degli psicologi è chiaramente di condanna. E vorrei sapere chi se la sente di negare che la scelta di disporre che un collega non possa lavorare per tre mesi di fatto rappresenti una “condanna” a fare la fame… Detto questo, chiunque legga “Avvenire” – cosa che lei evidentemente, e liberamente, non fa se non saltuariamente – sa bene che su questo giornale non escono articoli “contro” le persone omosessuali e che l’accusa di omofobia ci indigna perché profondamente e velenosamente ingiusta. Ma è anche rivelatrice, quell’accusa peregrina e violenta: rappresenta la prova degli obiettivi omologanti e liberticidi dei lobbisti che premono per una legge in quella materia. Nelle nostre cronache per gli omosessuali e per i problemi che essi vivono e pongono all’opinione pubblica c’è tutta l’attenzione, l’accoglienza e il rispetto che merita ogni essere umano. Ciascun uomo e ciascuna donna – per le persone civili e tanto più per i cristiani – valgono a prescindere dal proprio orientamento sessuale. Ricambiamo i suoi distinti saluti. Luciano Moia
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