sabato 4 luglio 2015
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Gentile direttore, ho trovato molto puntuale e preciso nella sua franchezza – e nella durezza della sua logica – il commento del costituzionalista Marco Olivetti sul senso e sulle conseguenze della mossa referendaria del premier greco Tsipras. Desidero solo portare a estreme conseguenze la logica del suo collaboratore. Tsipras, dopo aver ingannato con false promesse elettorali il suo popolo, lasciando credere che sarebbe stato in grado di modificare la pesantezza della situazione economica e di “strappare” all’Europa condizioni economiche maggiormente favorevoli, oggi di fronte al rifiuto del resto della Ue di supportare i costi del welfare greco in una grave situazione di debito (legati ad anni di errata/disonesta gestione della cosa pubblica) si “tira da lato” – per così dire – e dice ai connazionali: “Mi spiace quello che chiedevate è impossibile – scusate, non è colpa mia – siete voi ad avere chiesto quello che non si può avere, ora scegliete voi la strada da seguire e se … per caso desiderate rimanere agganciati all’Unione Europea e nell’euro, allora è necessario che accettiate i sacrifici che questo impone… Ma non è mia colpa”. Troppo comodo per chiunque un tale atteggiamento, figuriamoci per un politico. Grazie per l’attenzione.Paolo SartoriSul caso Grecia anche, ma non solo, alla luce dell’opzione plebiscitaria di Alexis Tsipras abbiamo sviluppato diverse riflessioni, gentile signor Sartori, che hanno accompagnato e seguìto quella affilata e molto efficace di Marco Olivetti. Qui mi concentro esclusivamente sulla scelta di indire un referendum sulla (sterminata) trattativa tra Atene e il resto dell’Unione Europea (Germania in testa). Ciò che più mi lascia perplesso e che non condivido nella mossa del premier di Atene è la plateale rinuncia a esercitare il principale dovere dell’uomo di governo responsabile: la mediazione politica, cioè la costruzione in una data situazione della via possibile alla realizzazione dell’interesse generale (che, sia chiaro, può benissimo portare alla rottura di una trattativa se si ritiene che la logica del negoziato sia intollerabilmente ingiusta). Una rinuncia formale e persino ostentata, forse troppo. Ma dopo il voto capiremo se dietro alla forma c’è anche sostanza, e di quale tipo. Capiremo, cioè, se il “piccolo” Tsipras intende usare l’esito del referendum per governare l’emergenza (magari con nuovi partner interni) o invece, anche a costo di enormi ripercussioni, intende cavalcare l’onda anomala economico-politica che potrebbe generarsi (magari con alleati esterni alla Ue) sapendo comunque che lo porterà a una meta che non sarà certo lui a decidere. Espresse le mie perplessità e accennati i dubbi che ho in testa, da anti-plebiscitario convinto, devo dire che sono uno di quelli che quando è ormai stabilito che la parola spetta ai cittadini-elettori, s’inchinano con assoluto rispetto per il più sacro dei laici riti della democrazia. L’esperienza mi dice che la libera espressione di un popolo che va alle urne, non offre mai risposte “comode”, ma assegna (o riassegna) responsabilità dalle quali nessuno può illudersi di scappare. Può provare a eluderle per un po’, mai per sempre.Marco Tarquinio
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