La condizione della Corea del Nord? L’oppressione, che non è mai pace
venerdì 22 luglio 2016
Gentile direttore,
da attento – per quanto posso – abbonato di "Avvenire" ho trovato documentata ed equilibrata l’analisi di Lucia Capuzzi di giovedì 28 aprile scorso a pagina 3, lontana da ostracismi e preconcetti, sul cambiamento "in itinere" a Cuba. Di qualità, stesso giorno, a pagina 4, l’intervista a monsignor Antoine Audo, vescovo caldeo di Aleppo, con espressioni – sempre valide – che meritano d’essere incorniciate: «E poi l’Occidente tempio della modernità nasconde insidie. Essere moderno spesso rischia di voler dire essere senza fede, senza valori, senza punti di riferimento. Non mi piace l’idea di vivere in Occidente: conosco le opportunità, ma conosco anche l’egoismo, l’aridità. Non mi dice nulla la vita di New York e di Parigi, la Siria ha tutto. È solo la guerra ad aver trasformato un sogno in incubo». Trovo invece propagandistico il servizio a pagina 3 di sabato 9 luglio scorso a cura di Stefano Vecchia sul tour europeo del nordcoreano Shin Dong-hyuk, «fuggito dal gulag». C’è sempre uno che fugge per raccontarci quanto "là" si sta male. Un Paese arretrato, alla fame, pieno di «lager» – questi non mancano mai assieme alle «fosse comuni»... eh già – ma in grado di creare una bomba atomica «sporca», di spaventare (?) il mondo libero (??) e quindi in fatto di ricerca scientifica non poi così arretrato. Alla fine si "scopre" che a fomentare guerre e disordini non sono gli «Stati canaglia» – a proposito chi stila queste graduatorie e perché? – bensì quelli che bombardano, portano la democrazia e poi «ti fanno votare». Risulta che qualcuno di loro sia ricercato dal Tribunale penale dell’Aja per le azioni in Siria, Iraq e Libia? Con un pilatesco «senza Saddam il mondo è migliore» il "socialista" Tony Blair si lava la coscienza e noi con lui? Tutto chiaro per chi sa e vuole, sopra tutto vuole, vedere. E capire. C’è il giornalismo e la... propaganda: strizzo l’occhio al primo. Cordialità.
Massimiliano Colenghi - Gambara (Bs)



La sua opinione, gentile signor Colenghi, come quella di ogni lettore, è rispettabile e addirittura preziosa. La ringrazio, quindi, per i giudizi lusinghieri che ci riserva e prendo nota della serrata critica che muove alle nostre informazioni sulla Corea del Nord, che la porta addirittura a difendere la dittatura dinastica (siamo già al terzo «amato leader» della serie familiare dei Kim) che tiene in pugno da 68 anni metà di quella penisola asiatica e un terzo del suo popolo. Temo che una qualche propaganda – che io sopporto meno di lei – a sua volta le sia capitato di subirla a questo proposito, e in senso opposto al suo rimprovero. Non credo ai vaticinii, e non faccio certo eccezione per Shin Dong-hyuk che è un "dissidente", ma ovviamente non è l’oracolo di Delfi, tuttavia mi sento di consigliarle di essere molto meno fiducioso e ottimista sulle qualità del regime comunista nordcoreano, sulla qualità della vita dei "sudditi" di Kim Jong-un e sulla qualità della minaccia nucleare che Pyongyang agita prima di tutto nei confronti della Corea del Sud e del Giappone. Essere etichettato come «Stato canaglia» non è diventato automaticamente e paradossalmente una esimente o persino un titolo di merito... Quella dittatura deve finire, e prima sarà meglio sarà per un popolo che viene oppresso da troppo tempo. Là dove c’è oppressione, non c’è mai pace (e non c’è sviluppo): ci sono guerre (e regressioni) condotte in altro modo e malamente dissimulate. Detto questo, non c’è dubbio che l’escalation bellica non è mai la soluzione, come la Chiesa cattolica predica e «grida dai tetti» e tutti noi continuiamo drammaticamente a verificare in mezzo mondo: dall’Iraq alla Somalia, dalla Colombia alle Filippine meridionali, dall’Afghanistan alla Nigeria. Ma neanche chiudere gli occhi lo è. Continui ad applicare con più intensità, grazie anche alle nostre attente informazioni che lei non si fa mancare, il suo stesso motto: «Tutto chiaro per chi sa e vuole vedere». Magari non sarà chiaro proprio «tutto», ma molto sì. Ricambio il suo cordiale saluto.

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