In memoria di Antonio morto di Sla, con fede
domenica 23 ottobre 2016

Caro direttore,domenica 9 ottobre 2016 è mancato mio fratello Antonio, da tempo malato di Sla. Il vuoto è enorme per tutti, familiari ed amici. Vorrei chiederle di pubblicare queste riflessioni, a testimonianza di quanto lui ha sofferto e anche per sensibilizzare sulla gravità di una malattia devastante che merita più attenzione da parte di tutti. I primi disturbi sono comparsi in modo lento nel 2014 e, nonostante le cure e la molta fisioterapia, sono andati progressivamente aggravandosi, fino a portare mio fratello alla totale perdita di autonomia: nutrito con la "peg", bisognoso di assistenza 24 ore su 24, incapace di parlare (comunicava azionando un computer con gli occhi), psicologicamente distrutto. Da stimato e dinamico general manager di una importante multinazionale, sportivo, circondato dall’affetto di parenti e amici (a causa del suo carattere buono, generoso e socievole), si è di colpo ritrovato disabile grave, con prospettive di vita spaventose. Abbiamo pregato tanto per lui, chiedendo aiuto perfino alle suore di clausura... Ma per lui era scritto un destino inesorabile, per noi difficile da accettare. Con l’avvicinarsi degli ultimi momenti, ha rifiutato la tracheotomia, affidandosi alle cure palliative che lo hanno "accompagnato" fino alla morte. Rimane il ricordo dei tanti momenti belli trascorsi con lui, della sua voglia di vivere e della sua particolare capacità di farsi carico di chi vedeva in difficoltà. Nella consolazione che solo la fede può dare, nutriamo la speranza che la ricerca venga aiutata a studiare le cause di questa tremenda malattia, per poter arrivare poi alle terapie adeguate.

 

Alessandra Mauri

 
Partecipo profondamente, gentile signora Alessandra, al dolore suo e della sua famiglia. E posso assicurarle che mi rendo pienamente conto della durezza straziante del passaggio che avete vissuto insieme e accanto al vostro Antonio. So anch’io che cosa significa accompagnare persone care nella strenua lotta contro il male e nell’incontro con la morte naturale, lungo un cammino che propone quasi sempre bivi e decisioni difficili, come quella personalissima di non autorizzare la tracheotomia, che portano a interrogarsi sulla soglia ultima dell’accanimento terapeutico. A questo proposito posso solo ripetermi, con convinzione. Non ho mai conosciuto casi che potessero essere valutati da lontano, senza chinarsi con rispetto davanti a coscienza e sofferenza, competenza e fatica e generosità delle persone coinvolte: malati, familiari, personale sanitario. Su un altro e alto aspetto lei va al cuore della questione. È proprio vero che fede e preghiera possono consolare in modo specialissimo, e proprio nel mio lavoro trovo sempre nuove conferme di come esse riescano a illuminare anche le notti più buie. Le prometto perciò, per quel che vale, una preghiera domenicale per suo fratello, per chi l’ha amato e per chi l’ha curato e assistito sino alla fine. E la saluto, augurandomi con lei che una ricerca medica al servizio della vita aiuti ad affrontare e vincere la Sla e le altre tremende malattie che ci ricordano più aspramente il nostro limite e ci riportano all’essenza della solidarietà umana e cristiana, che conosce il peso delle prove ma mai la rassegnazione.
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