La via dell'Europa è lunga, ma non vediamo solo il peggio
venerdì 16 settembre 2016
Caro direttore,
penso che le vergognose vignette sul nostro ultimo terremoto italiano pubblicate in Francia da “Charlie Hebdo” aiutino a capire quanto la strada verso l’Europa unita sia ancora lunga. I popoli europei dovrebbero sentirsi fratelli e non cugini rivali come appare chiaramente dalla mentalità francese. Sono stato in Francia e guardando la mia macchina, fra amici si dicevano, con un tono poco onorevole: “Italiens...”. Fino a quando ci saranno tali atteggiamenti discriminatori non ci sarà Europa e tanto meno un costruttivo futuro politico del continente. Il motto “Liberté, Égalité, Fraternité” non ha alcun valore ed efficacia se alla base non vi è lo spirito cristiano dell’amore verso il prossimo. Bisogna riannaffiare le radici cristiane dell’Europa prima che essa secchi e crolli al prossimo e inevitabile terremoto finanziario.

Michele Salcito

Condivido l’amara premessa del suo ragionamento e le sue niente affatto rassegnate conclusioni a proposito dello spirito che rende davvero saldi ed efficaci i valori, caro signor Salcito. Ma non mi ritrovo del tutto consonante sul passaggio intermedio, ossia sulla generalizzazione che la spinge a dipingere un vasto sentimento anti-italiano in Francia, e forse anche altrove. Anche in quest’Europa, che da più di settant’anni conosce una grande pace, siamo purtroppo tutti schiavi di vecchi luoghi comuni, frutto anche di ostilità e concrete contrapposizioni nazionaliste sfociate più e più volte in guerre aperte. Eppure nella mia esperienza non c’è affatto nei nostri confronti un permanente «tono poco onorevole» dei cugini d’Oltralpe (o di altre parti della patria comune europea). Non è vero che siamo (quasi) tutti ostili gli uni agli altri per nazionalità e sussiego. Diversa, ovvio, è la sensazione se si presta orecchio alle tribune di certi stadi che sono teatro di cori impressionanti e, a volte, terribilmente odiosi. Ma questo succede quasi solo lì, perché in altri contesti, anche sportivi e altamente competitivi – penso, ad esempio, al ciclismo –, si vede piuttosto bella simpatia e addirittura aperto incoraggiamento da parte dei transalpini, anche nei confronti di campioni italiani. Non facciamo, insomma, più grave e più grande di quel che già è l’epidemia nazional-antagonista che infesta la Ue (e anche il resto del nostro continente). Non vediamo solo il peggio, e non ingigantiamo gli ostacoli, che pure ci sono. Annaffiamo piuttosto, e con urgenza, con l’acqua di una ritrovata fraternità, di una vera uguaglianza in dignità e opportunità e di una robusta e responsabile libertà le radici dell’Europa, che non si sono nutrite per millenni della fede nel Dio della Bibbia e di Gesù Cristo per caso o per dispetto, ma per attrazione profonda verso una via spirituale e umana lungo la quale si impara a costruire comunità, accogliendo e contemperando le differenze. Certo, qualcuno quelle radici le vorrebbe, a tutti i costi, secche e inutili, ma dipende più da noi che da chiunque altro di farle vivere.
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