venerdì 15 maggio 2015
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Caro direttore, che ne pensa degli uffici stampa di alcuni personaggi dello spettacolo che fanno scrivere e parlare della tentazione di suicidio dei loro assistiti come se fosse «cosa buona e giusta». Magari perché serve loro avere qualche riscontro mediatico, per cercare di spazzare un po’ di cono d’ombra sui loro assistiti. Se non ci fosse stata l’informazione via web avremmo letto di tutti questi pensieri innaturali? Marco Sostegni, Vinci Quando cominciai a fare il giornalista, i colleghi che mi sono stati maestri del mestiere (cattolici praticanti, vecchi socialisti, laici di limpida fede) mi spiegarono in situazioni e giornali diversi, con toni differenti, ma identica e convinta chiarezza, che i casi di suicidio e di tentato suicidio erano deontologicamente una “non-notizia”: era ed è immorale – a parte pochissime eccezioni per la eccezionale rilevanza pubblica del fatto – scrivere della pulsione di morte di un essere umano, facendo propaganda a un tale gesto e, in definitiva, lucrando su di esso. Quell’insegnamento incontrò pienamente la mia sensibilità. E posso dirle caro signor Sostegni, di ritenere più attuale che mai il dovere morale che ne discende. Ogni spot del suicidio per economia o per ideologia è, comunque si tenti di ammantarlo, un esempio di cinismo e di pura disumanità.
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