giovedì 23 aprile 2015
Prosegue la nostro inchiesta sui misuratori alternativi al Pil. ​L'economista Aldo Carra: leghiamo al benessere le politiche locali.
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Certo, l’obiettivo sintetizzabile nello slogan "Oltre il Pil, il Bes" è intrigante e ambizioso. Ma scalzare il Pil dal podio, soprattutto mediatico, non è affatto facile. Soprattutto se non caliamo il Bes nella concreta realtà». L’economista Aldo Carra, storico consulente di Istat e Cnel nella elaborazione dell’annuale rapporto sul "Benessere equo e sostenibile" mette il dito nella piaga. Forte anche del suo nuovo libro Più uguaglianza, più benessere (Ediesse) che segue di quattro anni il pionieristico Oltre il PilSenta Carra, qual è il problema del Bes?  Si corre il rischio che resti sulla carta. Sarebbe un peccato, perché rappresenta la nuova frontiera delle future politiche economiche. Allora, per non lasciare questi indicatori alternativi al Pil confinati in pure esercitazioni statistiche, occorre farli entrare nelle procedure stesse di governo della spesa pubblica, proprio per orientare e misurare le politiche economiche.Altrimenti che rischio si corre?Dopo avere varato i 134 indicatori del Benessere equo e sostenibile rischiamo che l’operazione si riduca a uno dei tanti dati Istat di cui parlare per qualche giorno per poi dimenticarsene. Ormai è un’evidenza sotto gli occhi di tutti che l’idea del Pil come obiettivo fondamentale delle politiche dei governi è ormai superata dalla realtà dei fatti.Eppure pare che governi e istituzioni ragionino ancora soltanto in termini di Pil...Siamo ancora tutti sotto una "Pildipendenza", per cui il Pil produce benessere e per avere più benessere abbiamo bisogno di dosi crescenti di Pil. In realtà tra gli economisti più lungimiranti è sempre più diffusa la consapevolezza che la crescita del Pil nei paesi sviluppati non toccherà più i ritmi del passato. Importante è, quindi, quello che si riescirà a fare per affermare concretamente i nuovi indicatori di benessere.E la sua ricetta qual è?Bisogna calare gli indicatori del Bes nelle politiche locali. Renderli cioè davvero concreti e operativi. Perché l’obiettivo fondamentale è superare le disuguaglianze. Da lì deriva il benessere sociale, dell’intera comunità. Nella seconda parte del mio libro analizzo proprio come utilizzare gli indicatori del Bes nelle politiche locali. Ogni realtà può averne di specifici e particolari. Lì bisogna puntare con progetti di sviluppo mirati.Può fare un esempio pratico?I progetti sul territorio devono farci dire: mi riprometto di portare questo indice, per esempio di povertà, da 80 a 95. Se raggiungo l’obiettivo, il relativo finanziamento diventa a fondo perduto, altrimenti si trasforma in un prestito pubblico che devo poi restituire entro un certo numero di anni nella misura in cui non ho raggiunto l’obiettivo. In questo modo la smettiamo col finanziare progetti che poi non si misurano e non si sa a cosa servono.Dunque, più controlli e maggiore responsabilità...Certo. Una cosa è il finanziamento assicurato, altra cosa è il finanziamento condizionato. Quando c’è rischio, come quello d’impresa, le cose funzionano meglio. Basta con l’assistenzialismo. Anche se è pagato dall’Ue.
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