lunedì 1 settembre 2014
Secondo Der Spiegel, la cancelliera tedesca avrebbe chiamato il presidente della Bce per sapere se ha cambiato idea sull'austerità. Ma per il portavoce della Merkel è avvenuto il contrario. Oggi l'incontro tra Draghi e Hollande sull'Eurozona.
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È "giallo" sulla telefonata tra Draghi e Merkel di domenica: sarebbe stato Mario Draghi a contattare il Cancelliere tedesco e comunque le indiscrezioni sul contenuto della telefonata, così come riportate da Der Spiegel, "non hanno niente a che vedere con la verità". Così il portavoce di Angela Merkel ribadisce la posizione di Berlino riguardo alla telefonata avuta tra la Merkel e il presidente della Bce. Intanto, nel pomeriggio, Draghi incontrerà a Parigi il presidente francese Francois Hollande.Oggetto del colloquio: la situazione economica dell'Eurozona. Il portavoce della Merkel, Steffen Seibert, ha confermato che c'è stato un "contatto telefonico" ma è stato Draghi a chiamare il Cancelliere e non viceversa come riporta la testata di Amburgo. La telefonata avrebbe avuto come scopo quello di sapere se Draghi ha cambiato idea sull'austerità, chiedendogli conto delle dichiarazioni fatte a Jackson Hole, dove disse che le politiche europee devono utilizzare la flessibilità disponibile all'interno delle regole per spingere la crescita e sostenere i maggiori costi determinati dalle riforme necessarie. Una posizione ripresa dal presidente francese Francois Hollande e sostenuta pure dall'Italia di Matteo Renzi.Sulla flessibilità è in atto una partita che, pur coinvolgendo la Bce, si sta giocando politicamente soprattutto tra Berlino, Bruxelles, Parigi e Roma. Le poche notizie che filtrano dai palazzi Ue confermano che venerdì c'è stato un incontro tra il presidente uscente e quello entrante della Commissione, Josè Manuel Barroso e Jean Claude Juncker, e il commissario per gli Affari economici Jyrki Kataynen per discutere di alcune ipotesi di lavoro. Sul tavolo ci sarebbe l'idea di ridurre, a determinate condizioni, dallo 0,50 allo 0,25% del Pil la necessaria correzione annuale dei deficit strutturali. E di concedere uno o due anni di 'grazia' sulla strada dell'azzeramento del deficit a chi si impegna per realizzare le indispensabili riforme strutturali. Ipotesi che si inquadrano nell'idea di flessibilità in cambio di riforme già messa sul tavolo nei mesi scorsi e rimandata al vertice Ue in programma per fine ottobre, di cui pare si sia discusso a lungo anche ieri nel corso del summit dedicato alle nomine. E che, secondo le conclusioni del Consiglio Europeo, sarà preceduto da un summit informale su crescita e occupazione (in Italia) e una riunione dei leader dell'Eurozona. In questo contesto si inquadra anche il confronto in atto sull'attribuzione dei portafogli ai futuri commissari europei. Qui la partita, che Juncker vorrebbe chiudere entro l'8-9 settembre, si gioca sull'assegnazione della titolarità degli affari economici e monetari, ovvero colui a cui spetterà vigilare sulla corretta gestione delle finanze pubbliche da parte degli Stati membri. Le ultime indiscrezioni indicano che sarebbe caduto il veto tedesco sulla nomina di Pierre Moscovici (sostenuta da Francia e Italia), ma a condizione che il suo operato sia 'supervisionatò da un falco nordico del rigore a cui attribuire la carica di vicepresidente dell'esecutivo Ue.    Un'altra ipotesi vedrebbe le candidature agli affari economici di Katainen e Moscovici eliminarsi a vicenda. Il rebus potrebbe essere risolto affidando a Moscovici un portafoglio 'sviluppò (in pratica il coordinamento del piano di rilancio da 300 miliardi di euro annunciato da Juncker) e al finlandese le competenze sulla politica industriale. Mettendo agli affari economici l'attuale presidente dell'Eurogruppo, l'olandese Jeroen Dijsselbloem, che la stampa del suo Paese dà oggi in uscita dal suo incarico. O il ministro dell'Economia danese Margrethe Vestager, di cui è stata ufficializzata ieri la candidatura. E poco importa se la Danimarca è fuori dall'Eurozona, visto che la presidenza dell'Eurosummit ieri è stata affidata a Donald Tusk, premier di un altro Paese, la Polonia, fuori dall'euro.
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