venerdì 30 settembre 2011
I dati Istat sul secondo trimestre fotografano le difficoltà degli italiani ad arrivare a fine mese. L’aumento dei redditi non copre l’inflazione. Giù i consumi e gli investimenti. La denuncia del Codacons: dal 2000 il potere d’acquisto si è ridotto del 40%.
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I conti non tornano. Le famiglie italiane soffrono ad arrivare a fine mese, risparmiano meno e il loro potere d’acquisto si riduce inesorabilmente. La fotografia che scatta l’Istat sull’andamento del secondo trimestre dell’anno è impietosa e allarmante per lo stato delle nostre famiglie.La propensione al risparmio, definita dal rapporto tra il risparmio lordo e il reddito disponibile, è stata pari infatti all’11,3%, in diminuzione di 0,4 punti percentuali rispetto al trimestre precedente e di 1,2% rispetto al secondo trimestre del 2010. Andando indietro nelle serie storiche, quello diffuso ieri dall’Istat è il dato più basso da 11 anni, dal primo trimestre del 2000 quando la propensione al risparmio si era attestata all’11,1%. Un trend negativo continuo. Lo scorso marzo uno studio della Confcommercio evidenziava come negli ultimi 20 anni il risparmio delle famiglie italiane si fosse ridotto di 20 miliardi: praticamente al ritmo di un miliardo l’anno. Un crollo del 60%: il risparmio annuo pro capite, in termini reali, è passato da circa 4mila euro nel 1990 a 1.700 euro nel 2010.Un «attacco» al «tesoretto» degli italiani che deriva dalle difficoltà che aumentano per le famiglie a mantenere il proprio tenore di vita. Al netto dell’inflazione, infatti, secondo l’Istat il potere d’acquisto delle famiglie è diminuito dello 0,2% rispetto al trimestre precedente e dello 0,3% rispetto al secondo trimestre del 2010. Un calo che – per il Codacons – dal 2000 arriva al 40,5%: «I cali record partono dal 2002, con l’arrivo dell’euro e i mancati controlli dei prezzi che, per i 100 beni e i servizi di maggior consumo, hanno avuto incrementi medi del 53,7% dalla fine del 2001 a oggi», rileva l’associazione dei consumatori.La «ristrettezza» con cui devono confrontarsi le famiglie italiane incide anche sul tasso di investimento (definito dal rapporto tra gli investimenti fissi lordi, che comprendono gli acquisti di abitazioni e gli investimenti strumentali delle piccole imprese classificate nel settore, e il reddito disponibile lordo): nel secondo trimestre si è attestato all’8,9%, come nel secondo trimestre del 2010 e in lieve diminuzione (-0,1%) rispetto al trimestre precedente. Gli investimenti delle famiglie sono diminuiti dello 0,4% rispetto al primo trimestre, mentre hanno mostrato una crescita del 2,3% in termini tendenziali. L’aumento del reddito disponibile delle famiglie, sempre nello stesso periodo, dello 0,5% rispetto al trimestre precedente e del 2,3% rispetto al secondo trimestre del 2010, non basta a compensare i maggiori costi. La spesa delle famiglie per consumi finali in valori correnti è infatti aumentata dello 0,9% rispetto al trimestre precedente e del 3,7% rispetto al secondo trimestre del 2010. Spendi di più per comprare meno. Tanto che entro la fine di quest’anno, in quasi tutte le Regioni – ben 17 su 20 – si rischia di registrare un livello di consumi inferiore a quello del 2000, secondo le ultime indagini di Confcommercio.Un declino che richiama una scossa, affinché le famiglie ritrovino quella serenità economica che garantisca loro crescita e fiducia nel futuro. Una spinta positiva che si rifletterebbe su tutta la società che proprio sulla famiglia trova il suo fondamento. Ecco perché – è l’accusa del Codacons – «è inutile che il Governo discuta di sviluppo se al primo posto dell’agenda non vi è la difesa della capacità di spesa delle famiglie».Ma sono tante le reazioni sul fronte associativo e politico. «I dati Istat confermano la drammatica situazione delle famiglie, già duramente colpite da una crisi profonda che va avanti dal 2008», evidenziano i presidenti di Federconsumatori e Adusbef, Rosario Trefiletti ed Elio Lannutti, che stimano una ulteriore «fortissima contrazione del potere di acquisto delle famiglie dal -4 al -6%, con una caduta di reddito, nel 2014, di circa il 6,3%». Il futuro resta insomma piuttosto cupo.
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