lunedì 18 giugno 2012
Entro l’anno daremo le linee guida al 2020. Con il decreto Sviluppo approvato venerdì già i primi passi». «Possiamo far crescere di molto l’apporto del settore al Pil rispetto all’attuale 10%. E creare migliaia di posti». (Giuseppe Matarazzo)
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​«Il mondo sta cambiando. Fra dieci anni il turismo sarà la prima industria. Per questo stiamo lavorando intensamente a un piano strategico nazionale con le linee guida al 2020 che presenteremo entro l’anno, in occasione della Conferenza nazionale sul turismo». Uomo dell’industria, ai vertici dell’Iri negli anni ’90 e poi presidente dell’Enel, Piero Gnudi, ministro del Turismo, non perde l’approccio manageriale. Il turismo – considerato per troppo tempo un <+corsivo>divertissement<+tondo> fuori dai binari delle politiche di sviluppo – ritrova la sua centralità. Non a colpi di spot. Ma con piani che guardano lontano. A partire dalle norme inserite nel Dl Sviluppo: «Con il decreto approvato venerdì – afferma il ministro – è stato fatto un importante passo avanti nella valorizzazione del turismo come una delle leve per il rilancio della nostra economia (nel box nella pagina a fianco le principali misure, ndr)».Il dipartimento del Turismo, in via della Stamperia a Roma, si affaccia su Fontana di Trevi, piena di turisti. L’immagine simbolo di un Paese che può permettersi di non fare nulla, cullarsi sul passato e andare avanti per inerzia. È così?Per troppo tempo si è pensato che il patrimonio ereditato dal passato potesse garantire il futuro del turismo in Italia. Come se non servisse altro. Effettivamente questo ci ha dato un grande vantaggio. Poi è scoppiata la globalizzazione. E il turismo è cresciuto in maniera enorme, forse più di altri settori. Nel 2012 nel mondo viaggerà circa un miliardo di persone, contro i 50 milioni del 1950. È cresciuta la domanda di turismo, ma anche l’offerta. Così certe rendite di posizione stanno cominciando a vacillare. La sfida globale impone un cambio di passo?Se non facciamo una politica del turismo come Paese, rischiamo che la nostra quota di mercato si riduca come si è ridotta in questi anni. Nel 1995 eravamo i primi in Europa, ora siamo terzi dopo Spagna e Francia con un delta rispetto alla Spagna di 14 miliardi. Questo è il frutto anche della mancanza di una adeguata politica di promozione del turismo italiano nel mondo.Non è idilliaca la situazione che ha ereditato...Ma non è colpa di quel ministro o dell’altro. Da sempre abbiamo considerato il turismo la cenerentola delle attività economiche. L’esempio più eclatante è al Sud: se avessimo speso un centesimo di quello che abbiamo speso per un’industrializzazione che ha generato cattedrali nel deserto, distrutto il territorio e bloccato lo spirito imprenditoriale dal basso avremmo avuto lo stesso sviluppo della Spagna. Per tutti – politici, sindacati e agenzie territoriali – lo sviluppo era l’industria pesante.Il risultato è un flusso fortissimo di visitatori nelle nostre città d’arte. Ma senza ritorno. E senza qualità. Da più parti si invoca una rivoluzione culturale, lei cosa ne pensa?Il movimento turistico si prevede raddoppierà in pochi anni. Se non riusciamo a gestirlo, rischiamo paradossalmente di soffocare le mete classiche per eccesso di turismo. Quello di un giorno, che non apporta ricchezza e scaccia il turismo di qualità. Questo è un problema che ci dobbiamo porre adesso. Con l’elevazione del livello culturale e della formazione, aumenta ovunque il desiderio di conoscere mondi diversi. Dopo la Guerra, in Emilia Romagna, nelle montagne, più della metà della popolazione non aveva visto il mare. Ora vanno a Sharm El Sheik.Cosa fare? Qual è il piano?È prioritario diffondere e promuovere il turismo in tutta Italia. Ci sono tante forme di turismo. Valorizzarle tutte. Il piano parte da una corretta promozione nel nostro Paese nel mondo.Il punto è stato oggetto di una accesa discussione con le Regioni sulle competenze…Nessuno scontro, solo un confronto. Le Regioni sono intelligenti e capiscono che il clima sta cambiando. Una volta aveva senso, per esempio, promuovere singole località in Germania, perché ci conoscono. Ma se oggi vogliamo conquistare i Paesi emergenti da cui affluiranno le grandi masse del turismo, dobbiamo parlare di sistema Italia. In alcune zone, come la Cina, andrebbe promossa addirittura l’Europa.A chi affiderete questa missionNon può che essere l’Enit.In passato non ha funzionato molto…Anche la ristrutturazione dell’Enit rientrerà nel piano strategico.Quali altre criticità affronterete?C’è bisogno di tanti interventi. Sulle infrastrutture, inadeguate ad accogliere il turismo che verrà. Ci vogliono alberghi più grandi e una maggiore formazione. Bisognerà sforzarsi di avere una maggiore preparazione, perché i nuovi turisti hanno esigenze diverse e non si può pensare che si adeguino alle nostre.Oggi il viaggiatore è connesso e si muove a velocità 3.0...Quando parlo di formazione, mi riferisco anche a questo: con i social network il giudizio del viaggiatore conta. Non si può trattare male un turista. Perché mette in rete lo scontento. E fa opinione.Quali sono gli obiettivi numerici?Con una seria strategia Paese nei prossimi anni si potranno creare centinaia di migliaia di nuovi posti di lavoro e aumentare in modo molto marcato l’apporto del settore al Pil rispetto all’attuale 10%. È una grande sfida che l’Italia non può perdere.Con quali fondi vi muoverete?Il nostro è un ministero senza portafoglio che rispecchia più di altri questa denominazione. Il Piano sarà fatto d’accordo e a braccetto con le Regioni.La sua è una storia da uomo d’industria. Possiamo finalmente pensare al turismo come industria del Paese?Fra 10 anni il settore da cui ci deriveranno i maggiori ricavi sarà il turismo. A metà maggio a Merida al G20 dei ministri del Turismo, tutti gli Stati hanno individuato in questo settore una delle leve fondamentali su cui innestare la ripresa economica. Nel documento conclusivo c’è la raccomandazione a tutti i capi di Stato a risolvere, per esempio, il problema dei visti. Da questo dipende la possibilità – avendo come orizzonte il 2015 e i Paesi G20 – di aumentare di ulteriori 112 milioni il numero dei turisti, produrre un giro d’affari aggiuntivo fino a oltre 205 miliardi di dollari e la creazione di posti di lavoro fino a un massimo di 5,1 milioni di unità.Sempre in Messico, ma a Cancun, si è svolto il convegno mondiale della pastorale del turismo. Per uno stile del turismo differente.Sono molto attento al turismo religioso. E l’Italia è una delle principali mete del settore. Proprio per questo vogliamo far rivivere le vie dei pellegrini. Oltre 200mila persone all’anno compiono il cammino di Santiago, in Spagna. Noi abbiamo il percorso credo più importante: la via Francigena, che stiamo cercando di riattivare con le Regioni. La parte toscana e la tratta Roma-Assisi sono state completate. Ma vogliamo ricreare tutto il percorso da Aosta fino a Brindisi. Abbiamo poi firmato un memorandum con l’Opera Romana Pellegrinaggi per favorire questo tipo di turismo. E avviata una discussione con l’ufficio nazionale per la pastorale del turismo della Cei.Il 2011 ha visto la tenuta dei visitatori stranieri (+4,5%) e una frenata di quelli italiani (-4,12%). Quali sono le previsioni per il 2012?Stimiamo un andamento simile al 2011. La crisi colpisce purtroppo più i Paesi del Sud Europa. Mentre il Nord, l’America e il resto del mondo crescono. Meno, ma crescono. Se noi crescessimo del 2,5 % come altri Paesi, parleremmo di boom economico. Questa è la situazione. Il futuro del nostro turismo dipende quindi dalla capacità di intercettare sempre meglio questi flussi.
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