martedì 7 maggio 2013
La missione delle imprese italiane a Giacarta. L’Abi: 500 milioni per chi vuole investire qui. I ritmi «impetuosi» dell’economia emergente. Zegna: la classe media in 10 anni è passata dal 25 al 43%. Sono sessanta le aziende che operano già nel Paese. La voglia di esserci.
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Per cercare una nuova alba l’export italiano guarda all’Estremo Oriente, a quell’Indonesia pronta ad aggiungere una nuova «i» ai Paesi Bric, le realtà economiche emergenti del pianeta. Una nazione dalla crescita impetuosa: con 240 milioni di abitanti, è la più popolosa del mondo islamico e, assieme alle Filippine, è una delle nuovi «tigri asiatiche». E, al di là delle risorse minerarie, ha basato la sua ricetta su un mix che dovrebbe insegnare qualcosa anche alla vecchia Europa: una forte domanda interna (contribuisce per il 65% al Prodotto interno lordo), conti in ordine (il debito pubblico è al 24% del Pil) e lavoro per quasi tutti (la disoccupazione è al 6,7%). Non sorprende quindi che, pur nella latitanza della politica italiana, la cabina di regia Ice-Confindustria-Abi-Unioncamere abbia organizzato qui la missione di sistema 2013, portando nell’umidità tropicale di Giacarta 57 imprese tricolori e 8 gruppi bancari (oltre a 10 associazioni imprenditoriali). A capire un Paese che in 10 anni ha superato con scioltezza due "botte" come la crisi finanziaria del 1998 e la tragedia dello tsunami, per arrivare a entrare nel G20 (16ema economia mondiale) con una crescita media annua, fra il 2007 e il 2012, del 13,4% come Pil pro capite. Numeri da "sballo" per l’arrancante economia nostrana, come sottolinea Paolo Zegna, presidente del comitato di Confindustria per l’internazionalizzazione, che guarda soprattutto all’«impetuoso aumento della classe media, passata dal 25% della popolazione nel ’99 al 43% del 2009». Una crescita che, visti i tassi demografici, si tradurrà in altri 90 milioni di consumatori benestanti entro il 2030. Il governo locale ha stimato che le vendite di auto si raddoppieranno (da 1,1 milioni di oggi a 2 milioni) in 5 anni. Questo non vuol dire che le incognite manchino: «L’Indonesia è un po’ un’eterna promessa – osserva l’ambasciatore Federico Failla –, sarebbe meglio se fosse un Paese più "semplice", ma non si può aspettare: il momento per entrarci è adesso». È un’opinione condivisa da Chris Kanter, di Kadin (le Camere di commercio indonesiane): «Usa e Giappone, ma anche Germania e Olanda, sono meglio posizionate, voi dovete muovervi ora». L’Italia qualcosa ha fatto nell’ultimo anno, rimarca Riccardo Monti, presidente dell’Agenzia Ice, con esportazioni salite del 56% sul 2011, a quota 1,23 miliardi di euro. Ma dai grandi business noi italiani siamo ancora lontani: Hollande si è mosso in prima persona per l’ordine di 234 Airbus commissionati dalla compagnia low-cost Lion Air, mentre il gruppo finanziario londinese Cvc ha guadagnato oltre il 700% collocando in Borsa Matahari, uno dei big della grande distribuzione locale, acquistato appena 3 anni fa. Per l’Italia, peraltro, si tratta di recuperare posizioni perdute: qui eravamo presenti, negli anni ’60, con Piaggio e Fiat, poi queste imprese se ne andarono per i problemi politici (e dire che, parlando di motocicli, oggi l’Indonesia richiede 9 milioni di pezzi l’anno). Ora le imprese italiane presenti sono circa 60, fra le quali spicca la Perfetti (quelli della "gomma del ponte"), che hanno due fabbriche, "ereditate" però dagli olandesi di Van Melle. Nei saloni del Kempinski Hotel a colpire è tuttavia la voglia di esserci degli imprenditori italiani, eterna chiave di successo del nostro export. Come quella di Mirko Tofani, della Salini costruzioni: «Noi siamo attivi in Malesia – racconta – dove stiamo costruendo una diga. Però siamo venuti a sentire, questo è un mercato interessante». Nel segno della bilateralità, si guarda poi anche ai possibili investimenti indonesiani in Italia. A questo sarà dedicato oggi un seminario promosso dall’Ice, una novità per questo tipo di missioni. Al di là delle voci legate alla squadra dell’Inter, l’approccio più concreto è sull’immobiliare da parte di Saratoga, primo gruppo di private equity dell’arcipelago. Anche per un motivo banale: nel centro della popolosa (oltre 9 milioni) Giacarta i prezzi sono schizzati a 3-4mila euro a metro quadro, diventa allora più interessante guardare al "mattone" del Belpaese (e un acquisto è stato già chiuso in una cittadina termale). Per tutte queste operazioni, in ogni caso, si candida a un ruolo di supporto l’Abi: «È la prima volta che veniamo con le imprese italiane», evidenzia Guido Rosa , affermando che è disponibile «il 71% del plafond da 500 milioni stanziato per finanziare nuovi business». Magari quello della nuova metropolitana, attesissima in una città dal traffico infernale, in cui domenica è stato «registrato» persino un drappello di un centinaio di tifosi juventini, rigorosamente indonesiani, che festeggiava in strada. Potenza della globalizzazione.
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