lunedì 10 agosto 2015
Squilibrio finanziario? Per norme non adeguate. La gestione dei sacerdoti è un unicum nel panorama previdenziale e non può essere equiparata alle altre gestioni separate. A partire dal calcolo contributivo.
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Trasparenza a tutto tondo nella campagna informativa «Inps a porte aperte», lanciata con forte convinzione dal presidente dell’Istituto Tito Boeri. Una radiografia senza sconti che, nel corso delle ultime settimane, sta passando in rassegna le regole e le prestazioni, in genere molto vantaggiose, dei fondi speciali amministrati dall’Istituto e che ne caricano i bilanci oltre misura. Ricalcolare questi assegni – propone Boeri – col metodo contributivo sin dalla prima decorrenza, e assoggettarli ad un adeguato prelievo, consentirebbe di ricavare risorse da destinare a misure di solidarietà generale. Nel setaccio di Boeri sono già passate le grandi gestioni speciali dell’Istituto (dai ferrovieri ai piloti, dai magistrati ai docenti universitari ecc.) e da ultimo ha interessato la gestione del clero italiano («Fondo di previdenza per il clero e per i ministri di culto delle confessioni religiose diverse dalla cattolica»).Lo studio di Boeri denuncia in primo luogo le criticità della gestione dei sacerdoti, i cui bilanci da molti anni segnano senza interruzioni un "rosso" acceso, ed oggi un deficit patrimoniale superiore ai 2 miliardi di euro. Lo squilibrio finanziario è da addebitarsi alle disposizioni di legge che di fatto non consentono un pareggio tra entrate e uscite, essendo i contributi del Fondo di importo fisso e le pensioni tutte agganciate al trattamento minimo dei lavoratori dipendenti. In realtà, ben prima del presidente dell’Inps, la situazione deficitaria del Fondo viene denunciata, anno dopo anno, dal Comitato di amministrazione della gestione sacerdotale, auspicando l’adozione di adeguati provvedimenti legislativi. Sempre secondo lo studio di Boeri, gli assegni dei ministri di culto subirebbero un drastico ridimensionamento qualora il "contributivo" fosse introdotto anche nel Fondo, con conseguenti benefici sui bilanci. Ad esempio un sacerdote andato in pensione a 68 anni nel 2011 (cioè prima della riforma Fornero) subirebbe una riduzione di 265 euro, e l’assegno mensile passerebbe da 635 euro lordi a 370 euro. In generale oltre il 60% delle pensioni subirebbe una decurtazione superiore al 50% e nessun iscritto sarebbe in ogni caso avvantaggiato dal calcolo contributivo. La riforma Fornero ha poi inciso sul Fondo solo aggiungendo l’indice della "speranza di vita" (68 anni e 7 mesi nel 2016), anche se il già alto requisito di 68 anni richiesto ai sacerdoti supera di gran lunga i 65/66 anni delle altre gestioni.Un Fondo "speciale". Le nobili finalità che stimolano il presidente dell’Inps non tengono conto però che il calcolo contributivo (ma neppure il retributivo) non si addice alle pensioni del clero italiano. Emerge con grande evidenza, in questa occasione, come sia ambiguo ed improprio accostare il Fondo Clero alle altre gestioni lavorative. Il Fondo è nato infatti, già negli anni 60, per tutelare l’esercizio del ministero di culto di qualsiasi confessione religiosa, ministero che per sua natura non può essere né equiparato né assimilato ad alcun lavoro dipendente o autonomo o professionale.La necessità di distinguere nettamente il Fondo dalle altre gestioni previdenziali, una distinzione fortemente sentita sia dalla Chiesa cattolica sia dalle altre confessioni religiose riconosciute, rispecchia le intime aspirazioni e la scelta di vita dei ministri di culto. Scelta che, agli occhi anche dei meno idealisti, si traduce in grandi opere di carità, scuole, assistenza negli ospedali e nelle carceri, sostegno al volontariato, tutela dei beni culturali e in una miriade di altri interventi per esigenze collettive e individuali. Il Fondo costituisce, in sostanza, un insostituibile scudo di garanzia per l’espressione del diritto alla libertà religiosa, e non solo dei ministri accreditati.Per questo i contributi versati dai ministri di culto non hanno riferimenti ad aliquote o percentuali, come avviene per il lavoro dipendente, e le pensioni sono tutte a calcolo fisso essendo agganciate al trattamento minimo dell’assicurazione generale obbligatoria.Motivi per i quali il Fondo Clero non può e non deve essere analizzato con le stesse categorie culturali e tecniche del lavoro dipendente, e rappresenta pertanto un unicum nel panorama previdenziale. Lo studio di Boeri si presenta quindi con molte ambiguità ed anche con alcune imprecisioni, non irrilevanti per un grande istituto di previdenza. Ad esempio, la scheda di «Porte aperte» con la quale vengono illustrate le caratteristiche del Fondo (secondo la legge 903/1974) riporta l’esclusione dei ministri delle comunità ebraiche, mentre in realtà anche i rabbini possono iscriversi al Fondo (legge 101/1989, art. 31).Una riforma del Fondo. Questo non esclude però la necessità di armonizzare il Fondo al sistema generale. È quanto si proponeva già nel 1999 una riforma pensionistica confezionata autonomamente dalle confessioni religiose iscritte e consegnata al Governo dell’epoca (pres. D’Alema). Da questa proposta furono recepiti, con la finanziaria dell’anno 2000, solo alcuni aspetti, i più restrittivi, per i ministri di culto. Sono rimaste fuori le grandi misure previdenziali (riscatti, ricongiunzioni ecc.) che da tempo sono patrimonio quotidiano di tutti gli altri cittadini e che invece incrementerebbero le entrate contributive del Fondo, essendo tutte a carico dei sacerdoti interessati.
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