sabato 13 giugno 2015
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«Il bilancio è largamente positivo. Ma siamo ancora molto indietro sui servizi per l’impiego». Pietro Ichino, giuslavorista e senatore del Pd, promuove il Jobs act ormai pressoché completato: «Si è voltato pagina definitivamente rispetto al regime di job property, generatore di precariato, che proteggeva meno di metà dei lavoratori escludendo gli altri. Ora si è aperto a tutti l’accesso al lavoro regolare a tempo indeterminato; e i primi effetti si sono già visti nei primi mesi, in misura per certi aspetti addirittura clamorosa. E si è dato a tutti un trattamento di disoccupazione di livello europeo.Una delle critiche, però, riguarda il fatto che l’occupazione aumenta o si stabilizza solo grazie agli assai costosi incentivi economici…Non è così: i dati di cui disponiamo mostrano che dopo un primo aumento dei contratti a tempo indeterminato registratosi in gennaio e febbraio, certamente imputabile alla riduzione di contributi e imposte in vigore dal primo gennaio, in marzo e aprile si è verificata una impennata ulteriore del tempo indeterminato. È un forte indizio del fatto che la nuova disciplina dei licenziamenti ha davvero l’effetto di facilitare notevolmente l’accesso al lavoro regolare a tempo indeterminato.Un’altra obiezione è che si tratta prevalentemente non di nuove assunzioni ma di trasformazioni di contratti a termine.In realtà sia i dati dell’Istat, sia quelli del ministero del Lavoro, ci parlano di un aumento impressionante non solo dei posti di lavoro tra marzo e aprile, circa 159.000 in più, ma anche della quota delle nuove assunzioni a tempo indeterminato sul totale. Comunque, anche l’aumento massiccio delle trasformazioni di contratti a termine costituisce un fatto straordinariamente positivo, sotto il profilo della qualità del lavoro. Questi che per tre decenni hanno sparso lacrime sull’aumento del precariato senza cavare un ragno dal buco, e che ora, quando si incomincia a incidere sul serio su questa realtà, storcono il naso sono davvero poco credibili.In che cosa invece il bilancio è negativo?Sui servizi per l’impiego, con la legge-delega si sono fatte delle scelte molto importanti: in particolare quelle relative alla collaborazione tra servizi pubblici e operatori privati e al nuovo strumento del contratto di ricollocazione. Ma la sperimentazione di questi nuovi metodi e strumenti avrebbe dovuto incominciare già dall’inizio del 2014, e invece non si è ancora mosso nulla.Che cosa pensa della norma che allarga il campo del diritto del lavoro, superando il lavoro a progetto?L’area del lavoro regolare stabile non si allargherà tanto per effetto di quella norma, quanto per effetto della nuova disciplina dei licenziamenti e delle mansioni.Il governo non ha esercitato la delega sul salario minimo e non ha affrontato il tema della rappresentanza e del sistema contrattuale.Le tre cose devono andare insieme. E le ultime due non sono oggetto della delega. Di tutto questo incominceremo a occuparci appena terminato il lavoro sui quattro nuovi schemi di decreto varati giovedì.C’è da temere dai nuovi controlli a distanza?Non direi proprio: è un puro e semplice aggiornamento della norma, in relazione alla rivoluzione tecnologica avvenuta dopo il 1970.Alla fine non si è fatto il codice unico semplificato sul quale lei si era impegnato, e al quale è dedicato un capitolo del suo ultimo libro, "Il lavoro ritrovato". Un’occasione persa?No: il decreto sui licenziamenti e quello approvato giovedì in via definitiva sul "riordino contrattuale" costituiscono un primo passo significativo in quella direzione. Certo, su questo capitolo c’è ancora da lavorare molto. Ma il Codice semplificato resta un capitolo importante nel programma di questo Governo. Arriveremo anche a quello.
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