mercoledì 28 dicembre 2011
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Dal Fisco al lavoro, fotografia dell’Italia al tempo della crisi Come va oggi la Borsa? E lo spread? Ogni gior­no le domande sono queste. Da mesi. E non sono più quesiti da alta finanza, che riguar­dano grossi imprenditori o giornalisti finanziari. Lo spread e l’andamento dei nostri Btp rispetto ai Bund tedeschi sono diventati chiacchiere da bar. E non certo per il declassamento dell’economia a dibatti­to da fantacalcio. Ma perché la crisi dei mercati co­me dell’economia reale interessa tutti, con le dovu­te differenze sociali e personali. Così, alla fine di que­st’anno travolgente, offriamo ai lettori una fotogra­fia del nostro Paese a 360 gradi. Una panoramica sui nostri conti, sugli interventi di «lacrime e sangue» dei governi, su come vanno le imprese e cosa resta in ta­sca alle famiglie. Ma anche su ciò che avviene sopra di noi. A Bruxelles, per il futuro della moneta unica, della Bce, dei mercati del Vecchio Continente. Una fo­tografia e una mappa per capire dove siamo. E ver­so quale direzione guardare e camminare. (G.Mat.)
 

 
1. CONTI PUBBLICI
Il fardello del debito
 
Un macigno di circa 1.900 miliardi. A tanto ammonta il debito pubblico italiano, che nel 2011 ha toccato livelli record: in pratica, ogni contribuente porta sulle proprie spalle una «quo­ta » pari a circa 30mila euro. Il Tesoro spende ogni anno più di quanto riesca a incassare e, anche se lo squilibrio dei conti pubblici è andato assestando­si negli ultimi vent’anni rispetto alla gestione 'al­legra' degli anni Settanta e Ottanta, la dinamica del nostro indebitamento resta pesantemente negati­va perché ad essa si accompagna la «crescita zero» della nostra economia. Ogni secondo lo Stato si in­debita per 2.735 euro, più di quanto guadagna in media una famiglia italiana in un mese. Va meglio, invece, la gestione del deficit, che in rapporto al Pil è in fase calante con l’obiettivo del pareggio di bi­lancio nel 2013, mentre l’indebitamento ha sfon­dato quota 120% in relazione al Prodotto interno lordo. Il 2012 si annuncia come il momento della verità: nei prossimi mesi andranno a scadenza cen­tinaia di miliardi di titoli di Stato italiani. In parti­colare, le aste del primo semestre saranno decisive per dare un segnale di fiducia ai mercati, in attesa che arrivi un raffreddamento sul versante dei tas­si. Con uno spread superiore ai 500 punti e con ren­dimenti maggiori al 7%, infatti, il nostro debito ri­schia di non essere più sostenibile, anche perché metà dei 1.900 miliardi è nelle mani di investitori stranieri. Un valore molto alto, che ci espone diret­tamente ai chiari di luna della speculazione. È per questo che, da più parti, negli ultimi mesi è stata lanciata un’operazione 'fiducia', con l’obiettivo di spostare una quota della ricchezza e del risparmio privato (molto elevati in Italia) a sostegno del de­bito dello Stato.
Diego Motta
 

2. MANOVRE
Una misura dietro l’altra
Dalla semplice «manutenzione» dei conti alle 5 manovre (considerando anche i rafforza­menti decisi dal Parlamento) in poco più di 5 mesi. Mai come quest’anno la finanza pubblica ha subito un’evoluzione così vorticosa e sconvolgente. Ancora a maggio l’ex ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, rassicurava gli italiani sulla «non neces­sità » di bruschi aggiustamenti del quadro. Mai smen­tita fu più clamorosa. Complici le tensioni sui mer­cati finanziari e l’aggravarsi della crisi dei debiti so­vrani in Europa, dopo è successo di tutto. In primis fu la manovra varata il 30 giugno dal governo, volu­ta per rispettare il pareggio di bilancio nel 2014 e che conteneva anche la legge delega per la riforma fi­scale e assistenziale. Un decreto approvato il 14 lu­glio, dopo ripetuti crolli della Borsa di Milano, dal Parlamento che nel frattempo l’aveva integrata con il contributo di solidarietà per le pensioni più alte, il nuovo bollo sui dossier titoli e altro ancora. Appena un mese dopo, il 13 agosto, disco verde a un inedito «decreto di Ferragosto», per raggiungere il pareggio con un anno di anticipo, nel 2013. Malgrado tanti sforzi si è resa necessaria, dopo il cambio di gover­no, anche la manovra di dicembre. Al tirar delle som­me, la correzione totale per il 2013 è da 76 miliardi di euro: il più massiccio intervento di finanza pub­blica della storia della Repubblica. E non è detto che sia finita. La crisi – che continua – nell’area dell’eu­ro richiede risposte forti e rapide a più livelli. In Ita­lia le tensioni hanno alimentato riflessi allarmanti sui differenziali d’interesse dei nostri titoli pubblici. Gli effetti sono noti: a regime, nell’arco di 3 anni, un aggravio dell’1% di rendimento su Btp e affini si tra­duce in quasi 18 miliardi in più d’interessi da paga­re. Come dire, altre manovre all’orizzonte.
Eugenio Fatigante

3. RISPARMIO
Famiglie «formiche», ecco la risorsa nascosta del Paese
La vera forza dell’Italia è nel risparmio delle sue famiglie. Questa affermazione rappresenta la realtà e non è in discussione. Il risparmio familiare e il basso livello di indebitamento privato sono un valido argomento per ritenere che l’Italia possa reggere bene di fronte alle difficoltà della recessione. Tuttavia la crisi sta portando alla luce aspetti che in condizioni diverse non erano stati considerati a fondo e che col tempo potrebbero rappresentare un elemento di fragilità. A inizio 2010 la ricchezza netta delle famiglie italiane era pari a 8.640 miliardi di euro, quella lorda a 9.525 miliardi. In buona sostanza ogni famiglia – in media, s’intende – dispone di una ricchezza pari a 400mila euro. La cifra corrisponde a ben 8,3 volte il reddito disponibile lordo, contro l’8 del Regno Unito, il 7,5 della Francia, il 7 del Giappone, il 5,5 del Canada e il 4,9 degli Stati Uniti.
Questa ricchezza, tuttavia, è in calo. Dal 2007 al 2010 si è ridotta del 3,2%. E gli squilibri sono fortissimi. In Italia la metà più povera delle famiglie detiene solo il 10% della ricchezza, mentre il 10% più ricco ne ha ben il 45%. Altro fattore critico, il dettaglio del patrimonio. L’84% delle attività reali, quasi 200mila euro, è rappresentato dalla casa. Ma qual è il reale valore delle abitazioni, oggi e domani, se il mercato resta congelato a causa della recessione? Nel 2012 le famiglie dovranno aspettarsi un’ulteriore erosione della ricchezza, a causa dell’aumento di tasse e imposte per le manovre di risanamento dei conti pubblici, a causa della corsa dei prezzi, e anche in conseguenza di un possibile calo dei valori immobiliari.
Massimo Calvi

4. LAVORO
È emergenza disoccupazione: in due milioni a spasso
 
Il 2011 per il lavoro è stato l’anno della delusione.
Dopo il crollo progressivo a partire dal 2008, infatti, i primi mesi di quest’anno avevano fatto intravedere i segni di una ripresa. Ma, dopo un picco in primavera, dall’estate gli occupati sono tornati a calare. L’ultimo dato, di ottobre, segnala 22 milioni e 913mila occupati, 53mila in più di un anno prima. Ma aumentano dello stesso numero anche i disoccupati (2 milioni 134mila), più 1,8% rispetto a ottobre 2010. Da aggiungere circa mezzo milione di lavoratori in cassa integrazione. Restano le tre emergenze riguardo ai giovani, alle donne e al Mezzogiorno.
La riforma del mercato del lavoro nelle ultime settimane è tornato ad essere uno dei temi più caldi della polemica politica. Già quest’estate, la questione era indicata come una delle priorità nella lettera della Bce e il governo Berlusconi aveva approvato alcune riforme. La prima e più importante è il nuovo apprendistato in tre modalità.
Un contratto a tempo indeterminato (ma con possibilità di essere sciolto dopo i primi 3 o 5 anni) con un forte contenuto di formazione. L’altra riforma, molto discussa, è quella che conferisce maggior peso alla contrattazione aziendale, in deroga a quella nazionale e – con il necessario consenso dei sindacati – anche alle leggi, compreso l’articolo 18 dello Statuto sui licenziamenti. Proprio su quest’ultimo si sono riaccese polemiche fortissime dopo che il ministro Fornero ha annunciato l’intenzione di cambiarlo, all’interno di una più vasta riforma dei contratti di accesso per i giovani (con un contratto unico o prevalente) e degli ammortizzatori sociali, da generalizzare e rafforzare.
Francesco Riccardi

5. IMPRESEL’«affanno» del mondo industriale
Doveva essere l’anno della ripresa. Del riscatto. Così non è stato. Confindustria e altre associazioni di imprese lanciano l’allarme: «Siamo in recessione». Non è ancora ufficiale, ma la tendenza sembra questa. Il Pil si è fermato nel terzo trimestre e le stime non vedono segni «più» per il quarto e neanche per l’inizio del 2012.
Guardando ai dati dell’industria italiana i segni di affaticamento ci sono tutti. La ripresa d’agosto per fatturato e ordini è stata infatti un’illusione: il fatturato registrava un aumento del 4% rispetto a luglio e una crescita del 12% su base annua. Lo stesso per gli ordini: cresciuti del 5% rispetto luglio e del 10,5% su agosto 2010. L’autunno ha riservato invece una «gelata». La scorsa settimana, i dati Istat relativi ad ottobre, fotografavano fatturati piatti e ordini in netto calo: i primi sono aumentati dello 0,1% rispetto a settembre e di appena l’1,1% nell’anno. Ancora peggio gli ordinativi che hanno segnato un calo congiunturale dell’1,6% (il ribasso più forte da ottobre del 2009), del 2,3% rispetto al trimestre precedente e del 4,8% nell’anno. È lo specchio di un’industria in affanno. Anche l’export, nostro storico punto di forza, fa i conti con un rallentamento (a ottobre è calato del 3,2%) anche se resta positivo su base annua (+4,5%).
L’Italia continua a pagare insomma «la crisi degli altri».
Eppure, grazie alle mille eccellenze del made in Italy si è evitare la débâcle, assicurando una tenuta che lascia spazio alla fiducia. D’altra parte ci sono settori forti della nostra industria che la crisi ha appena sfiorato. Come la meccanica e le macchine utensili. Un settore che chiuderà il 2011 con una produzione in crescita del 19,6%, un boom dell’export (+29%) e prospettive di crescita per il 2012 di oltre il 4%.
L’eccellenza italiana può sperare in un futuro migliore delle apparenze.
Giuseppe Matarazzo

6. PREZZI
Tasche più leggere, giù i consumi
Tra rincari da una parte e risparmi dall’altra, quest’anno i consumi nel nostro Paese sono calati. L’ultima fotografia «scattata» dall’Istat parla chiaro: il potere d’acquisto degli italiani negli ultimi mesi è crollato, complici numerosi fattori che vanno dall’aumento dei prezzi a quello dell’inflazione, salita a novembre al 3,3%. Non che a inizio anno le previsioni fossero incoraggianti: a gennaio la Banca d’Italia aveva previsto che la crescita del Paese nel 2011 sarebbe stata sostenuta dall’export, mentre i consumi interni sarebbero rimasti sostanzialmente fermi. Quello che non ci si poteva aspettare sono state le tensioni nel Nordafrica compresa la guerra in Libia, con il conseguente aumento del prezzo del petrolio e i rincari dei carburanti.
L’unica arma di difesa per le famiglie resta quindi il risparmio: nel 2011 gli italiani hanno tagliato su molti prodotti, spendendo di meno per elettrodomestici, radio e tv (-6,6%), abbigliamento (-2,9) e perfino per i farmaci (-3,1%). Non si è salvato neanche il cenone di Natale: secondo le previsioni Istat, la spesa per la cena della vigilia e per il pranzo di Natale è stata di 2,3 miliardi di euro, il 19% in meno rispetto al 2010. A pagare le conseguenze, in generale, sono stati i piccoli negozi; chi ci ha guadagnato, invece, sono stati invece i discount alimentari (+2,9%), «un segno evidente della crescente povertà» per il Codacons.
Per il 2012, le previsioni non sono rosee: la speranza è che i saldi - al via dal 5 gennaio in quasi tutte le Regioni - portino una ventata d’aria fresca, anche se Federconsumatori e Adusbef prevedono un calo del 19% rispetto al 2010. L’inflazione rallenterà, anche se non di molto; secondo Indis-Unioncamere proseguirà la corsa dei rincari generalizzati anche per l’anno prossimo, con una media del 2,4%, anche se minore del 2,6% di quest’anno.
Andrea D’Agostino

7. NON PROFIT
Tiene la rete del volontariato sociale
Con la crisi, le risorse pubbliche e private per chi opera nel sociale hanno conosciuto nel 2011 una drammatica contrazione. Ma il non pro­fit, che ha festeggiato importanti ricor­renze (i ventennali della Legge 381/91 sul­le cooperative sociali e della Fondazione Cariplo, i quarant’anni della Caritas), ha comunque mantenuto i servizi e tutelato meglio del profit l’occupazione, spesso rappresentando l’ultimo baluardo a pro­tezione della coesione sociale. Grazie an­che all’inesauribile contributo dei volon­tari (3,3 milioni) che l’Anno Ue del Volon­tariato ha giustamente celebrato. Le diffi­coltà hanno sollecitato il Terzo settore (750mila occupati, vale il 5% del Pil) a pun­tare sull’innovazione. Con il debutto di Terzo Valore, la piattaforma online di Ban­ca Prossima si è ad esempio aperta in Ita­lia la strada del prestito al non profit an­che per i cittadini. Inoltre è cresciuta l’im­portanza di Internet: quasi il 40% degli i­taliani che donano al non profit lo fa via web. Tendenze destinate a proseguire nel 2012, che vedrà il nuovo Censimento Istat del non profit. Potrebbe anche essere l’an­no del decollo delle imprese sociali, in I­talia come in Europa, dove contano il 6% del totale occupati: la Commissione Ue ha da poco varato un pacchetto di misure per promuovere l’impresa sociale come car­dine dell’economia sociale di mercato. Bruxelles ha anche presentato una pro­posta per assegnare un marchio ai fondi che investono in imprese sociali. L’Italia, invece, potrebbe trovare la forza per por­tare il suo contributo alla cooperazione in­ternazionale (0,15% del Pil nel 2010) più vi­cino all’obiettivo europeo (0,5%).
Andrea Di Turi

8. MERCATI
È ancora la paura il titolo più venduto nei listini europei
Ci sono state settimane, tra il febbraio e l’aprile dell’anno che sta per chiudersi, in cui le Borse hanno creduto di avercela fatta. Erano i giorni in cui gli indici di tutte le principali piazze finanziarie del pianeta erano tornati sopra i livelli del fatale settembre 2008, il mese del crollo di Lehman Brothers che aprì la rovinosa caduta della finanza mondiale. Sembrava che le Borse fossero davvero di nuovo a galla, che certe quo­tazioni ormai fossero il passato e che quei valori massi­mi toccati nel 2007, l’ultimo vero anno finanziariamen­te felice, fossero di nuovo al­la portata. Sembrava, per­ché la grande cavalcata dei guadagni iniziata nell’esta­te del 2010 e capace di ri­portare gli indici ai loro vec­chi splendori è finita nell’a­fa di agosto con una spetta­colare caduta. Colpa dei go­verni europei, che non rie­scono a venire fuori dalla crisi della loro moneta unica e non sanno dare agli in­vestitori la sicurezza che il peggio – la fine dell’euro – non accadrà. La paura della fine dell’euro ha così domi­nato tutto l’autunno (il 1° novembre per le Borse è stata la giornata peggiore dal crollo di Lehman Brothers), ha spinto in negativo quasi per tutti i mercati azionari il bi­lancio del 2011 e adesso entra ancora in splendida e ter­ribile forma nel 2012. Adesso dipende tutto dall’Europa. Se i suoi leader politici sapranno mettersi d’accordo, e arrivare entro marzo a un patto che ridia alla moneta u­nica il futuro che sta per­dendo, allora per le Borse questo sarà l’anno dei brin­disi e del grande (e magari definitivo) recupero. Altri­menti i listini sprofonde­ranno, annientati dal lutto per la morte dell’euro.
Pietro Saccò

9. EURO
Dieci anni: anniversario con l'incognita della sopravvivenza
Sarà un decennale carico di suspance quello dell’euro, la moneta unica europea: i suoi primi dieci anni, che cadono esattamente il primo gennaio 2012, potrebbero anche essere gli ultimi. Così in programma, invece di feste di compleanno, c’è un nuovo vertice salva-euro fissato il 30 gennaio. Ma a Bruxelles, negli ultimi giorno del 2001, non c’era spazio per il pessimismo: «Non c’è nessun dubbio sul suo futuro», ha ripetuto per voce di numerosi rappresentanti la Commissione europea, che continua a difendere la moneta unica riversando la colpa della crisi sui governi, responsabili di aver perso la fiducia dei mercati.
«Siamo fieri dell’euro, oggi più di ieri, è una delle più grandi realizzazioni dell’Europa e non c’è nessun dubbio sul suo lungo avvenire», è quanto si sente ripetere nei corridoi della Commissione. Ma non c’è nessuna festa in programma per celebrare i suoi dieci anni, né a Bruxelles né a Francoforte né altrove.Verrà solo emesso un conio speciale da due euro, in 90 milioni di esemplari che saranno diffusi nei prossimi giorni.
Il disegno del conio commemorativo, scelto attraverso un voto via web dagli europei, rappresenta l’importanza della moneta unica nella vita quotidiana: attorno al simbolo dell’euro c’è una famiglia, un’industria, una nave e una centrale idroelettrica, per ricordare i vantaggi che finora la valuta unica ha portato ai 332 milioni di europei che oggi possono «acquistare lo stesso prodotto in diversi Stati, scegliendo in base al prezzo più conveniente», spiega la Commissione, sottolineando come «rimuovere i tassi di cambio abbia consentito di risparmiare, a viaggiatori e a imprese, 20-25 miliardi di euro l’anno».
L’euro fu introdotto, come moneta virtuale, il primo gennaio 1999, ma solo il primo gennaio 2002 divenne moneta corrente in 12 Paesi, sostituendo le valute nazionali a un tasso fisso di cambio. Oggi i Paesi che lo utilizzano sono 17, più Monaco, San Marino e Città del Vaticano che lo usano in base ad un accordo con la Ue, e Andorra, Montenegro e Kosovo, dove circola senza alcun accordo formale.
Ma alla fine di un anno segnato dall’aggravarsi della crisi dei debiti che ha contagiato anche il cuore dell’Europa, sono più i dubbi che le certezze sulla tenuta di Eurolandia: «Rimettere la ripresa in carreggiata sarà più difficile di un anno fa, ci vorranno piani non solo annunciati ma anche attuati», ha ammonito la scorsa settimana, poco prima di Natale, il capo economista del Fondo Monetario Internazionale, Olivier Blanchard, riferendosi al «peggioramento delle percezioni» degli investitori, «dopo che vertici di alto livello promettono soluzioni ma ne applicano solo metà».
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