sabato 13 giugno 2015
La Scuola di economia civile di Loppiano lancia la sfida per il mondo della produzione. I contributi di Zamagni, Giovannini e Bruni
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Così come lo stato di salute di un Paese, attualmente, è dato solo da un parametro parziale, dopato e – dunque – spesso menzognero (il Pil), anche il "metro" utilizzato per giudicare se un’impresa è sana o in difficoltà sembra essere quasi esclusivamente uno: il profitto. Eppure un’azienda non è soltanto una realtà che produce beni e servizi. La sua azione ha effetti sull’ambiente, per cui è fondamentale tener conto del legame con il territorio che la circonda. All’interno dei contesti lavorativi, inoltre, i dipendenti instaurano relazioni. In un’impresa, insomma, contano anche – anzi, meglio dire soprattutto –, altri valori: umani, sociali e culturali. E allora come vanno misurate la reciprocità, la gratuità, l’equità, l’attenzione alla persona? Servirebbero indicatori nuovi, specifici, in grado di monitorare e tradurre in cifre quelle azioni e caratteristiche che, oggi, non vengono prese in considerazione come e quanto meriterebbero.Ecco perché, dalla cittadella toscana di Loppiano, quartier generale del movimento dei Focolari, dove è in corso il primo convegno nazionale organizzato dalla Sec (Scuola di economia civile), viene lanciata la proposta di sviluppare un Bes aziendale. La sfida è quella di mettere in campo strumenti idonei a rilevare nell’impresa quelle dimensioni del progresso e del benessere che oggi non vengono misurate. Il Bes si basa sull’analisi di dodici grandi domini: ambiente; sicurezza personale; salute; benessere soggettivo; benessere economico; paesaggio e patrimonio culturale; istruzione e formazione; ricerca e innovazione; lavoro e conciliazione dei tempi di vita; qualità dei servizi; relazioni sociali; politica e istituzioni. «Bene, questi campi possono essere considerati, almeno in parte, anche per le aziende – sostiene l’economista e statistico Enrico Giovannini, già presidente dell’Istat e ministro del Lavoro –. Del resto, il Mol (Margine operativo lordo), per un’impresa, presenta gli stessi limiti che ha Pil nel calcolare la ricchezza di un Paese». Per Giovannini, dunque, è necessario anzitutto stravolgere la tesi secondo cui il fine ultimo dell’impresa debba essere il profitto: «L’obiettivo numero uno deve essere, invece, quello di creare il più alto tasso di benessere».Una base di partenza per arrivare a un sistema efficace ed operativo di calcolo può essere rappresentata dalla ricerca condotta da Dalila de Rosa e Lorenzo Semplici, due giovani del dottorato di ricerca in Scienza di economia civile dell’Università Lumsa di Roma. I dottorandi hanno presentato un modello integrato di misurazione del benessere individuale e della Rsi (Responsabilità sociale d’impresa) che risponda all’esigenza di sintetizzare due facce della stessa medaglia sotto l’unico cappello di un linguaggio comune.Del resto, secondo l’economista Luigino Bruni, docente della Lumsa, il superamento del Pil va accompagnato necessariamente da un cambiamento culturale che parta proprio dalle imprese e dalla business community. «Finché i bilanci sociali delle aziende (soprattutto di quelle grandi), saranno contenuti in pubblicazioni patinate donate agli stakeholder durante le feste aziendali, senza che questi documenti abbiano alcuna rilevanza per scelte importanti come il rinnovo dei manager o dei membri del Cda,  sarà impossibile giungere ad apprezzare e valorizzare indicatori diversi dal Pil», sostiene Bruni.Stefano Zamagni, professore di Economia politica all’Università di Bologna, si sofferma invece su quali sono le principali dimensioni che certificano la "civiltà" di un’impresa: «La partecipazione agli utili dei dipendenti e il superamento dello schema tripolare di gerarchia (che vede prima la proprietà, poi i manager e infine i dipendenti) sono già due pilastri importanti». A questi, Zamagni ne aggiunge un terzo: «Il ruolo determinante che l’imprenditore civile può avere nel cambiamento delle regole del gioco».In questo cammino, comunque, non si parte da zero. Alcune buone pratiche, già esistono, come dimostrano le esperienze di Banca Etica e Federcasse, di cui si è discusso nella prima giornata del convegno. «Stiamo cercando di disegnare una traccia – conclude Silvia Vacca, presidente della Sec – per aggregare gli sforzi delle tante e variegate realtà che oggi, specie in Italia, con la loro attività, contribuiscono al bene comune».
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