mercoledì 18 febbraio 2015
Salvatore Rossi (nella foto) direttore generale di Bankitalia in audizione alla Camera sostiene la riforma: così aumenti di capitale più facili.
Sul decreto si organizza il fronte del no
COMMENTA E CONDIVIDI
Ci va giù duro Salvatore Rossi, direttore generale di Bankitalia, con la governance cooperativa: il voto capitario «è un handicap che va rimosso al più presto», ha dichiarato ieri in audizione alla Commissione Finanze della Camera sul decreto del governo che intende riformare le banche popolari. Provvedimento che Via Nazionale «non ha scritto», precisa il Dg, ma sul quale la Banca d’Italia è stata chiamata a collaborare «come sempre accade in questi casi». Avanti tutta, quindi, con un invito esplicito al Parlamento affinché proceda spedito. Il decreto legge del governo, in corso di conversione alla Camera, obbliga le 10 popolari con attivi superiori a 8 miliardi a trasformarsi entro 18 mesi in società per azioni, eliminando il principio "una testa un voto". E il primo e principale effetto positivo che Bankitalia si aspetta è quello di rendere più facili gli aumenti di capitale, dal momento che «fattori quali il voto capitario e i limiti al possesso azionario e alla rappresentanza in assemblea sono assai poco attraenti per investitori istituzionali». Inoltre, con la nuova cornice normativa europea, «le esigenze di capitale, se non soddisfatte in tempi brevi, possono arrivare a far scattare i presupposti per la "risoluzione" della banca».Rossi ha contestato in Commissione tutte le obiezioni mosse finora alla riforma. E posto precise condizioni anche alle proposte avanzate per attenuarne l’effetto: limiti al possesso azionario, limiti al diritto di voto e maggiorazioni del diritto di voto per chi si ritrova a essere socio da tempo al momento dell’attuazione della riforma.«Limiti al possesso azionario, finora una delle principali debolezze della governance delle popolari, appaiono sostanzialmente contrari alle finalità della riforma», ha spiegato. Le altre due proposte, invece, «possono essere considerate non stravolgenti solo se fissate in misura tale da non compromettere la contendibilità delle aziende». In ogni caso, ha precisato Rossi, «misure di questo tipo dovrebbero comunque essere derogabili di fronte alla necessità di un tempestivo ricorso al mercato dei capitali ed essere volte solo a facilitare la transizione fra i due regimi: compiuta questa, andrebbe ripristinata la piena proporzionalità tra proprietà e controllo, uno dei principali vantaggi della società per azioni». Quanto alla natura cooperativa degli istituti come valore aggiunto in una prospettiva di modelli plurali e di democrazia economica, per Bankitalia «nelle grandi popolari c’è il rischio di una deriva accentuato proprio dalla forma societaria: gli istituti più grandi – secondo Rossi – non appaiono confrontabili con le banche di credito cooperativo che oggi si osservano in Europa. E sono molto distanti dall’originario spirito cooperativo».L’approvazione della riforma, pertanto, «è auspicabile» non solo perché «lo suggerisce il buon senso», ma anche perché «va nella direzione di rafforzare la capacità di ben operare in un mercato bancario in forte cambiamento». La Banca d’Italia, del resto, «auspicava da tempo un intervento del legislatore» sulle banche popolari. E, ricorda ancora Rossi, «una riforma è stata anche ripetutamente indicata come necessaria dal Fmi e dalla Commissione europea». Il decreto del governo recepisce esattamente queste indicazioni.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: