lunedì 12 ottobre 2015
​Noto per i suoi studi su consumi, povertà e welfare, ha studiato come il cammino del progresso genera disuguaglianza. Marco Girardo
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Quello della disuguaglianza in un mondo sempre più globalizzato e interconnesso è diventato “il tema” economico per eccellenza. E la scelta di assegnare il Nobel in materia a uno studioso che ha dedicato buona parte della sua ricerca alle ragioni storiche, culturali e socio-politiche della povertà è di per sé una bella notizia. Il settantenne Angus Deaton, scozzese con passaporto americano (insegna all’università di Princeton), è stato premiato proprio per le sue analisi sui consumi, la povertà e il welfare. “Per progettare una politica economica che promuova il benessere e riduca la povertà – si legge nelle motivazione al riconoscimento 2015 assegnato dalla Banca Centrale di Svezia – dobbiamo prima capire le scelte di consumo individuali. Più di chiunque altro, Angus Deaton ha ampliato e migliorato questa comprensione”. Deaton nasce a dire il vero matematico, studia a Cambridge e medita di diventare filosofo della scienza. Ma agli inizi degli anni Settanta inizia a frequentare i corsi di Economia, entrando nel gruppo di Sir John Richard Nicholas Stone, futuro premio Nobel. Il rigore scientifico acquisito durante la sua formazione lo accompagna anche nella capacità di analisi e raccolta dei dati, nonché nella chiarezza delle sue pubblicazioni. Un esempio è l’ultimo libro di Deaton "La grande fuga: salute, ricchezza e origini della disuguaglianza” che, con una certa lungimiranza, la casa editrice il Mulino ha scelto di pubblicare in Italia prima dell’estate, invitando in tempi non sospetti l’economista scozzese a tenere la Lectio magistralis 2015. Gli studi per i quali il professore di Princeton ha ricevuto il Nobel ruotano intorno a tre questioni fondamentali: come i consumatori distribuiscono la loro spesa tra i diversi beni, quanto del reddito della società è speso e quanto è risparmiato, come si può meglio misurare e analizzare il benessere e la povertà. Il campo d’indagine è dunque l’economia della salute, del benessere e dello sviluppo. “Il cammino verso un mondo migliore – scrive Deaton – produce differenze. Le fughe (dalla povertà, ndr) producono disuguaglianze”. La vera sfida è invece proseguire nelle “fughe” dalla fame, dalla malattia e dalla povertà, gestendo le tensioni che l’innovazione tecnologica – il vero propulsore della crescita – genera nel tessuto sociale. Ma se l’obiettivo è il benessere dei cittadini, prendere a riferimento il solo Pil non basta. Bisogna “andare oltre” il Prodotto interno lordo e anche alle mere politiche redistributive. Gli accademici svedesi negli ultimi anni hanno effettivamente allargato il loro sguardo, dopo un lungo periodo in cui sono stati i mercati finanziari e le loro regole a far incetta di Nobel. Il 2009 ha visto poi premiata per la prima volta una donna, Elinor Ostrom, economista eterodossa che si batte per la difesa di laghi e pascoli, beni naturali e collettivi, studiando gli aspetti “comunitari” del comportamento umano contrapposti ai modelli ortodossi dell’homo oeconomicus. L’anno precedente il Nobel per l’Economia era stato assegnato a Paul Krugman, economista neokeynesiano premiato per i suoi lavori sul commercio internazionale, che continua imperterrito a frustare il pensiero dominante dalle colonne del New York Times. Battaglia condivisa – con un approccio leggermente diverso, ma assonante – dal Nobel per l’Economia 2001 Joseph Stiglitz, grande teorico delle asimmetrie informative. Gli studi sul mercato del lavoro hanno portato infine a Stoccolma Sir Christopher Antoniou Pissarides, economista britannico di origini cipriota, vincitore del Nobel nel 2010 insieme agli statunitensi Peter Diamond e Dale Mortensen per i suoi contributi alla teoria delle frizioni di mercato nella ricerca ed offerta di un lavoro: campo d’indagine di stretta attualità, lontano mille miglia dai grafici di Borsa. Con Deaton, dopo il riconoscimento assegnato nel 1998 ad Amartya Sen, è di nuovo il tema della povertà e della disuguaglianza a tornare sotto i riflettori.
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