mercoledì 27 gennaio 2016
​Non solo frasi di cortesia nella visita in Vaticano, ma un tentativo di riprendere le fila di un dialogo interreligioso. Riccardo Redaelli
Il Pontefice: «Spero nella pace» | Gli imprenditori | La polemica sulle statute coperte
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In persiano esiste il cosiddetto linguaggio ta’arof: un codice linguistico nei rapporti con l’altro, che sottolinea attenzione, deferenza, rispetto che è profondamente radicato nella cultura iraniana. Qualcuno potrebbe quindi liquidare le frasi dette dal presidente iraniano, il religioso sciita Hassan Rohani, durante l’incontro con papa Francesco solo come ta’arof, dei gesti di cortesia senza grande valore reale. Si tratterebbe però di un grave errore di prospettiva o il frutto di un radicato pregiudizio anti-iraniano. Perché l’incontro di ieri ha un’importanza che va molto oltre la formalità. Rohani ha ribadito con una forza e con una chiarezza non comune fra i rappresentanti musulmani che i precetti coranici impongono la protezione delle chiese e delle sinagoghe (e quindi di delle loro comunità). Chi le attacca in nome dell’islam viola i precetti della sua stessa religione. Una sensibilità, questa, figlia anche del fatto che le comunità sciite sono oggetto oggi in Medio Oriente di continui attacchi da parte dei movimenti salafiti e jihadisti sunniti. Per l’Iran sciita un avvicinamento fra minoranze cristiane e comunità sciite nella regione è auspicabile, dato che farebbe da 'freno' contro l’aggressività sunnita. Ma è anche il tentativo di riprendere con convinzione le fila di un dialogo interreligioso sui cui Francesco ha scommesso per farne un veicolo di pace 'dal basso' in Medio Oriente, a fianco dei tradizionali canali diplomatici e politici.  E a cui l’islam sciita sembra guardare con minore diffidenza rispetto alla galassia sunnita.  Dall’incontro esce anche un reciproco riconoscimento: in queste giornate romane, l’Iran non solo ha stipulato importanti accordi economici ma ha soprattutto visto sancire – da entrambe le sponde del Tevere – il proprio ruolo di attore regionale, nonostante nella regione vi siano ancora Paesi che insistono a volerlo marginalizzare. È chiaro ormai che Teheran deve essere parte della soluzione per la crisi in Siria e in Iraq. Da parte sua, il presidente iraniano ha sottolineato l’autorevolezza del Pontefice e la stima verso la sua opera, arrivando a chiedergli – nel commiato finale – di 'pregare per me'. Certo, Rohani è un religioso moderato e pragmatico, spesso considerato più un tecnocrate. E in Iran vi sono anche religiosi sciiti molto meno concilianti verso il cristianesimo, come ben sanno le minoranze nel Paese. Ma la volontà di dialogo e di riconoscimento è un elemento prezioso da cui partire, per cercare di far emergere le voci moderate di tutti – cristiani, ebrei, musulmani sciiti e sunniti – nel Medio Oriente travolto dalla follia estremista.
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