sabato 4 luglio 2015
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Se si va a ripercorrere le ultime tappe del negoziato, il commissario agli Affari economici Pierre Moscovici non aveva torto a parlare di "pochi centimetri" di distanza tra la Grecia e i creditori. La rottura è però avvenuta anche lungo linee di natura ideologica, con la contrapposizione «ricche imprese-poveri pensionati». Le tre istituzioni, Bce, Commissione Europea e Fmi (il più duro), hanno insistito sull’eliminazione del sussidio alle pensioni più basse, anche se il presidente della Commissione Europea Jean-Claude Juncker aveva negato la richiesta di un taglio delle pensioni. Atene, alla fine, aveva ceduto, ottenendo solo di spostare l’eliminazione progressivamente al 2019. Il premier Alexis Tsipras voleva trovare i miliardi mancanti tassando le imprese, e qui ha a sua volta incontrato resistenze, soprattutto con il Fmi. Atene voleva aumentare l’imposta sulle imprese dal 26% al 29%, i creditori non andavano oltre il 28%. Il punto cruciale, però, era l’una tantum del 12% che il governo voleva imporre alle imprese con profitti superiori ai 500.000 euro, con un gettito stimato di circa 1 miliardo di euro quest’anno. I creditori sono stati irremovibili, affermando che le imprese greche, cruciali per la crescita, soffrono già di un ambiente economico pessimo, una pubblica amministrazione corrotta e inefficiente, investimenti ridotti all’osso, e l’imposizione tra le più elevate in Europa. Alcune grandi società avevano già annunciato che avrebbero lasciato la Grecia. I creditori chiedono piuttosto di ridurre la spesa pubblica e soprattutto riforme che rilancino l’economia. Non che non tocchino le imposte, avevano chiesto infatti un aumento dell’Iva su ristoranti e hotel dal 6% al 23%, in piena stagione turistica. Alla fine avevano offerto per i ristoranti un aumento solo al 13%. Altro punto cruciale, la richiesta di sopprimere lo "sconto" fiscale del 30% per le isole respinto da Atene, mentre sono proprio quelle, grazie al turismo, hanno i fatturati più elevati.  La Grecia ha però rifiutato anche un’altra, ragionevole richiesta: ridurre da 400 milioni a 200 milioni nel 2016 la spesa militare, tra le più elevate d’Europa (solo pochi mesi fa ha fatto scalpore la notizia di commesse dalla Grecia alla Germania per forniture militari di oltre 50 milioni di euro). Il motivo? Panos Kammenos, il leader della destra nazionalista dei Greci Indipendenti alleato di Tsipras al governo, aveva minacciato di uscire dalla coalizione. Pensionati o meno, la sopravvivenza dell’esecutivo viene prima.
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