sabato 9 gennaio 2016
Le ultime rilevazioni mostrano positivi passi in avanti nei conti degli italiani. I timori per il futuro, però, frenano i consumi: la priorità è mettere i soldi da parte. Investimenti ancora al palo.
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Il ritorno del Pil al segno più sta mettendo qualche soldo aggiuntivo nelle tasche delle famiglie italiane. La ripresa italiana, insomma, non è più solo una proiezione statistica ma porta qualche risultato tangibile, per quanto circoscritto, ai cittadini. Il reddito disponibile è salito infatti dell’1,3% in tre mesi anche se si è tradotto per ora solo in parte in nuovi consumi.

Dopo anni di scottature prevale la prudenza e torna ad aumentare il risparmio o l’investimento-rifugio nel mattone. Una cautela che si riscontra anche nelle scelte delle imprese e che comporta, a fronte di una quota di profitti stazionaria, in un’ulteriore erosione degli investimenti produttivi. L’ultima fotografia dell’Istat sulle famiglie e le aziende italiane (finanza esclusa) riguarda il terzo trimestre del 2015. E ritrae un Paese che prova a lasciarsi alle spalle gli anni bui della crisi anche se la velocità della ripresa resta contenuta. Pure il settore immobiliare, che ha visto già da diversi mesi una ripresa delle compravendite, esce dal profondo rosso e ritrova un piccolo aumento congiunturale dei prezzi (+0,2%). I dati dell’istituto arrivano all’indomani di quelli sul lavoro, anch’essi moderatamente positivi. E consentono al governo di enfatizzare i passi in avanti compiuti: «Aumentano i redditi, scende la disoccupazione: le riforme strutturali funzionano.  L’Italia usa bene la #flessibilità», ha commentato il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, su Twitter.  Un intervento che risponde anche all’altolà arrivato da Bruxelles sul deficit (giovedì il presidente dell’Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem aveva invitato Roma a non esagerare nell’utilizzo della flessibilità). Per il ministro comunque siamo di fronte a una ripresa che «non è passeggera» e annuncia «una nuova fase di crescita più sostenuta e favorevole».  Ma torniamo alle cifre. Che indicano come la pressione fiscale nel terzo trimestre 2015 sia risultata del 41,4%, in lieve aumento (+0,1%) nel raffronto annuale. Nella media dei primi 9 mesi dello scorso anno il dato è rimasto fermo al 41,2%. In attesa degli sgravi programmati per il 2016, le famiglie hanno potuto contare su un aumento del reddito lordo (+1,5 annuo) e del potere d’acquisto (+1,3) anche grazie all’inflazione a zero. Più lento l’andamento delle spese che salgono solo dello 0,4% congiunturale e dell’1,2% annuale. È la conseguenza di una maggiore propensione al risparmio, salita dello 0,9% in tre mesi. Passando alla condizione delle società non finanziarie, nel terzo trimestre 2015 la quota dei profitti è rimasta invariata. Mentre il tasso di investimento è sceso al 18,8% del valore aggiunto, in calo di 0,3 punti sul secondo trimestre e di 0,2 punti in un anno. Ed è questo, in un panorama generalmente più positivo, l’elemento di maggiore incertezza. Le correzioni al ribasso degli investimenti proseguono da anni e anche con la ripresa del Pil nel 2015 non si sono fermate. Come l’Istat sottolineava in una recente audizione parlamentare: «Gli ultimi dati disponibili non evidenziano una chiara inversione di tendenza» mentre «il ripristino di un contesto favorevole agli investimenti appare fondamentale per non compromettere il percorso di crescita». Il settore immobiliare invece potrebbe avere interrotto la caduta delle quotazioni, calate a picco del 20-25% rispetto al pre-crisi. Tra giugno e settembre i prezzi sono saliti di un timido 0,2%. Un risultato da ascrivere all’aumento delle case nuove (+1,4%) mentre quelle esistenti sono ancora in lievissima diminuzione (-0,1%). Su base annua la flessione dei prezzi rallenta (-2,3% da 2,9) ma non si ferma. ©

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