domenica 2 ottobre 2016
​Si sono svolti in forma privata. Ecco i segreti del successo della sua azienda che ha conquistato il mercato
Addio a Caprotti, il genio di Esselunga
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Funerali in forma privata per Bernardo Caprotti, fondatore di Esselunga e uno dei più grandi imprenditori italiani, scomparso venerdì scorso all'età di 90 anni. Circa 200 persone hanno riempito questa mattina la piccola chiesa di San Giuseppe, a due passi dalla Scala, nel centro di Milano. A celebrare il rito monsignor Giuseppe Maggioni. La salma di Caprotti verrà tumulata nel cimitero di Albiate, in provincia di Monza, dove l'imprenditore era nato nel 1925. Ecco i segreti del re della Grande distribuzione Esselunga non è certo un gigante della grande distribuzione: a livello di fatturato non entra  nella classifica delle prime cento catene di supermercati  al mondo e non arriva nemmeno sul podio in Italia, dove la superano Coop, Conad e Selex. Ma l’Italia, si sa, non è terra di enormi imprese private. Piuttosto, nella storia economia del nostro Paese, sono spuntati tanti gioielli imprenditoriali di piccola- media grandezza e la creatura di Bernardo Caprotti  è sicuramente uno di questi. Nel suo settore, infatti, Esselunga non è tra i più grandi ma è sicuramente tra i più bravi del mondo. Le vendite per metro quadro dei suoi supermercati, uno dei più evidenti indicatori di efficienza di un negozio, sono tra i più alti d’Europa: quasi 16mila euro all’anno nel 2014, contro i 7mila della Coop e i 5mila dei francesi Carrefour e Auchan, come rivela l’analisi  dell’Area studi di Mediobanca sulla grande distribuzione organizzata in Italia. È così da tempo. Giuseppe Caprotti, il figlio del fondatore che il padre ha allontanato dal gruppo nel 2004 e oggi si occupa di consulenza, sul suo sito ha pubblicato qualche tempo fa un pezzo che parla dell’efficienza del gruppo di famiglia: e lì riprende un articolo uscito sulla rivista di settore Mark Up dal titolo «Sopra tutti Esselunga », in cui si mostrava come per incassi al metro quadro nessuno nell’intera Europa si avvicinasse alla redditività della catena italiana. Era il 1995. Non c’è un 'segreto' dietro un risultato del genere: il successo della catena di Caprotti è il risultato di un insieme di fattori noti, ma difficili da replicare. Sicuramente lo spirito accentratore del fondatore è un elemento decisivo. Le visite più o meno in incognito di Bernardo Caprotti nei supermercati Esselunga  affollati il sabato mattina non sono leggende, ma il segno più folcloristico della determinazione con cui il fondatore ha voluto avere sempre il controllo più totale sulla sua creatura. Così a differenza della catene francesi, che in Italia resistono con molte difficoltà, per Esselunga l’idea di affidare in franchising un punto di vendita non è mai stata nemmeno concepibile. «E questo – spiega il manager di una media azienda alimentare che da decenni lavora con Caprotti – permette il controllo assoluto sul punto vendita, che nel caso di Esselunga è rigorosissimo. L’azienda gestisce direttamente la composizione degli scaffali e stabilisce le procedure, le infrazioni su questo non sono ammesse». Oltre a controllare immobili e supermercati Esselunga produce direttamente molti dei prodotti a proprio marchio e forma al suo interno gli addetti come quelli ai banchi del forno, della macelleria o della pescheria. È un modello molto efficace, che però ovviamente ha i suoi limiti: ad esempio quelli dimensionali, perché gestire tutto dall’inizio (si sa che Caprotti, appassionato di architettura, amasse anche intervenire sui progetti di costruzione dei singoli punti vendita) è particolarmente laborioso e quindi non permette un’espansione rapida, ad esempio attraverso l’acquisizione di supermercati già operativi sotto altri marchi. E questo rischia di essere il problema anche dell’Esselunga di domani. Difficilmente catene che hanno altri modelli di business, come il gigante americano  Wal-Mart che pure ha tentato l’acquisto del gruppo italiano anni fa, per esempio, possono gestire un’azienda così diversa. Mentre i fondi di private equity  che si sono messi in fila per prendere il controllo della più efficiente catena di supermercati italiana devono sperare che davvero la 'macchina sia oliata'. Perché essendo abituata ad essere controllata da un patròn così accentratore, Esselunga rischia più facilmente di sbandare se chi prende il volante non sa bene dove mettere le mani.
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