sabato 7 novembre 2015
​Un fondo da 150 milioni per i giornali on-line in Europa.
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​Google sta investendo tempo – e denaro – per cercare di convincere i giornali delle sue buone intenzioni nei confronti dell’editoria, dopo anni di litigi e incomprensioni. I primi segnali di "disgelo" si sono visti anche in Italia. A partire dall’accordo dello scorso marzo con la Rai per rendere disponibli su Google Play – il negozio online di Google dedicato all’intrattenimento digitale – centinaia di film tratti dal catalogo Rai Cinema. Dopo otto anni di litigi, è arrivata la pace anche con Mediaset che, dopo aver chiesto 800 milioni di euro di "danni" a Google per aver caricato oltre 65mila video della tv su YouTube, ora ha deciso di stipulare un «accordo di collaborazione». L’obiettivo è sviluppare la presenza digitale dei contenuti della tv attraverso una partnership con YouTube e con Google Play, oltre a una strategia congiunta per la protezione dei contenuti e la tutela del copyright dell’editore.Tutti segnali del nuovo atteggiamento dell’azienda di Mountain View, che sta cercando di dimostrare che un’intesa e una collaborazione coi media è possibile. Persino in Europa, dove spesso è stata ai ferri corti con gli editori, spaventati dallo strapotere della sua piattaforma pubblicitaria capace di mettere in ombra le notizie, e preoccupati per il destino del diritto d’autore. «La notizia è e rimarrà una parte molto importante dell’ecosistema dell’informazione. Per questo vogliamo giocare un ruolo attivo nel costruire una relazione sostenibile e di successo tra editori, mondo della tecnologia e utenti», ha detto Carlo D’Asaro Biondo, presidente delle relazioni strategiche di Google in Europa.Per ottenere questo scopo il gigante del web ha messo sul tavolo una serie di iniziative concrete. Ha introdotto il sistema di Accelerated Mobile pages – un progetto open source per velocizzare la fruizione dei contenuti tramite dispositivi mobili –, ha lanciato il suo News Lab (la piattaforma con cui mette a disposizione dei media dati, programmi e risorse utili) e ha portato avanti iniziative con diversi editori, come quella col New York Times sulla realtà virtuale grazie ai Google Cardboard, dei visori low-cost fatti in cartone. L’ultimo passo, in ordine di tempo, è stata la creazione di un fondo da 150 milioni di euro, lanciato lo scorso 22 ottobre e parte del più ampio Digital news initiative, un progetto per aiutare il giornalismo di qualità anche grazie alla tecnologia. Il fondo ha un obiettivo dichiarato: investire su esperimenti di giornalismo online in Europa e diffondere un nuovo approccio al digitale. Un modo per cercare di trasformare i vecchi "nemici" in nuovi amici. Il fondo investirà in progetti innovativi per i prossimi tre anni solo in Europa e, secondo Google, sono già arrivate circa 120 richieste. I progetti finanziabili non riguarderanno solo grandi gruppi editoriali, ma anche realtà più piccole e addirittura startup che abbiano una idea innovativa da applicare al mondo del giornalismo. «Oggi la sola capacità di capire - grazie all’istinto o alle metriche - quello che i lettori vogliono è solo la prima parte del lavoro. Poi c’è l’evoluzione della tecnologia, che cambia il modo in cui gli utenti interagiscono con i contenuti o li condividono, che è diventata una parte centrale dell’intero processo. Il giornalismo e la tecnologia - che permette di portare oggi il giornalismo alla gente - sono le due facce di una stessa medaglia», ha ricordato D’Asaro Biondo.Quando si parla di notizie e internet, però, resta aperto sempre il nodo dei ricavi. Ricavi che finora hanno trovato risposta nella pubblicità che però continua a essere vista con diffidenza da molti editori. Soprattutto se di mezzo ci sono giganti del web come Google. «La pubblicità è importante: ha sovvenzionato il mondo dei media per secoli e sta oggi aiutando la maggior parte dei siti web a generare profitto. Il mercato europeo dell’online advertising è cresciuto fino a valere 30 miliardi di euro nel 2014», ha sottolineato il manager Google spiegando che si tratta di soldi che oggi sostengono il giornalismo, l’occupazione nel settore e permettono di mantenere i servizi internet variegati ed accessibili. Il problema, semmai, dice D’Asaro Biondo, è che gli utenti odiano le pubblicità invasive che bloccano il processo di fruizione dei contenuti. Ed è su questo aspetto che ci sono importanti margini per far sedere il mondo dell’advertising, dei servizi internet e dell’editoria a un unico tavolo.
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