giovedì 23 aprile 2015
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Prima trionfalismi ingiustificati, ora prudenza persino esagerata. Si passa facilmente da un eccesso all’altro nel commentare l’andamento del mercato del lavoro. Mentre l’interpretazione più corretta sta, come al solito, nel mezzo e soprattutto dovrebbe "vestirsi" ancora di paziente attesa.I nuovi dati sui flussi di attivazione e cessazione dei contratti sono buoni. Positivi per più d’un motivo. Il primo è che si conferma la tendenza alla sostituzione delle forme contrattuali più precarie con il nuovo contratto a tutele crescenti, più stabile, in vigore dall’8 marzo. Calano infatti le attivazioni dei contratti a tempo determinato, scendono di parecchio le collaborazioni e – purtroppo – l’apprendistato. Risultato, la quota dei contratti a tempo indeterminato sale dal 17,5 al 25,3% delle attivazioni (in crescita pure su gennaio e febbraio). Non era forse questo uno degli obiettivi della riforma? E allora perché guardare ai dati di oggi con malcelato fastidio, o attribuirli come ha fatto la leader della Cgil «all’ufficio propaganda» del governo? I numeri sono numeri sia quando davanti hanno il segno più, sia quando hanno il meno, sia che li fornisca il sistema delle comunicazioni obbligatorie sia che li diffonda l’Istat. Sta a chi li guarda esaminarli non con gli occhiali dell’ideologia ma con la lente d’ingrandimento dell’analisi.Sta funzionando, dunque, la trasformazione in meglio dei contratti. Ma si crea anche occupazione aggiuntiva? Qui la risposta è più complessa, perché i dati sui flussi non considerano gli autonomi, la pubblica amministrazione, i collaboratori domestici, la somministrazione. Tuttavia, anche in questo caso i segnali sono incoraggianti, con i saldi sempre positivi. Per capirne di più, però, occorre attendere l’indagine Istat sugli occupati (il 30 la prossima rilevazione) che, con ogni probabilità, registrerà un incremento di alcune decine di migliaia di occupati rispetto al 2014.Troppo poco? Sarebbe impossibile attendersi di più dal solo Jobs act. Per un aumento più consistente degli occupati occorre la crescita dell’economia, quella vera, di produzione e consumi. Discutere di tutto il resto – se il merito vada agli sgravi o alle modifiche sull’articolo 18, se il processo è destinato a durare e consolidarsi – è non solo prematuro, ma inutile e perfino dannoso.
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