venerdì 25 luglio 2014
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Sono arrivato a Verona con largo anticipo per vedere la mostra dedicata all’illustre concittadino Paolo Caliari, detto il Veronese: Palazzo della Gran Guardia è ancora chiuso, colpa mia che arrivo troppo presto. Vorrei far colazione evitando le solite cose, provare un dolce tipico. Attraverso piazza Bra e mi avvicino alla sfilza di bar davanti all’Arena coi tavolini all’esterno. Comincio dal primo, le solite brioches surgelate e i soliti panini da snack bar in metropolitana o alla stazione; vado avanti, stessa minestra, i camerieri sono quasi tutti stranieri, il cibo che vedo è come quello di catena; arrivo al quarto o al quinto bar, uno di seguito all’altro, poi mi arrendo. Ovunque la stessa merce. Camminando sono arrivato all’imbocco di via Mazzini, è la via dello shopping, una specie di Montenapoleone scaligera, e di bar nemmeno l’ombra, ma in compenso ci sono tutti i brand alla moda: Vuitton, Gucci, Dolce&Gabbana, Benetton, a metà strada c’è persino la boutique di Disney; davanti alle vetrine transitano giovani donne in jeans short strappati e consumati (è la moda), ragazzotti in canotte con slogan demenziali e scarpe ginniche a collo alto, uguali in tutte le stagioni. Ormai è così dappertutto, una pena mortale. Ripenso al titolo della mostra di Veronese: «L’illusione della realtà». Faccio dietrofront e torno verso Palazzo della Gran Guardia. E intanto mi dico: l’illusionista Caliari che spunti potrebbe trarre da questa sontuosa e prosaica varietà di gusti uniformati, quanto di plebeo, sebbene di ceto elevato, costaterebbe il pittore nella sua città natia oggi? La classe non è acqua... ma vige la middle class, dove alto e basso sono estremi di un diapason irriducibile.Tuttavia Veronese è l’emblema, forse ancor più di Tiziano, di un fasto che è anche l’apogeo di una supremazia politica ed economica, l’apoteosi di una idea di grandezza della Repubblica di Venezia. In tante soluzioni anticipa una forma di illusionismo che ritorna ancora nel trompe-l’oeil di fine Seicento. L’uso del «sott’in su» è quasi una cifra espressiva, soprattutto nelle decorazioni dei soffitti, come si vede, per esempio, nel grande tondo raffigurante l’eroe romano Marco Curzio sul cavallo che impenna: l’opera, come scrive Bernard Aikema (uno dei maggiori studiosi di Veronese e cocuratore con Paola Marini della rassegna e del catalogo edito da Electa) era stata sottovalutata dalla critica, ma dopo il restauro mostra ora la sua spettacolare bellezza. L’irruenza del cavallo che s’impenna come se volesse assalirci, esalta la spiccata valenza plastica del dispositivo prospettico.Veronese fa parte di una categoria di artisti che si possono definire “totali”: disegno, pittura, architettura finiscono nella loro opera per scambiarsi continuamente le parti. Analogamente al soffitto di Curzio, il disegno del San Giorgio e il drago, proveniente dagli Uffizi, dice proprio questo osmotico sentimento plastico. Laddove le teste del cavaliere e del cavallo aggettano allineate si ha la sensazione di una lievitazione tridimensionale, scultorea. Stessa sensazione si prova davanti alle quattro Allegorie della Virtù, tondi su tavola, accomunati da una luminosa monocromia, che va dal nero al grigio perlaceo, nella sapiente declinazione tonale che dà alle figure una potenza plastica.Era un artista consapevole, Paolo Veronese. Uno che voleva mettersi all’unisono con la committenza, senza rinunciare alla propria immaginazione. Un professionista brillante, vien da dire. E infatti divenne il pittore ufficiale di Venezia.Enrico M. Dal Pozzolo, introducendo la sezione “mito e sensualità”, traccia una linea dell’“eros” rinnovato rispetto alla generazione di Bellini e Antonello, ponendo in Giorgione il momento di svolta. È un gioco “a scoprire” che pone il nucleo concettuale nel vedere-non vedere dell’illusionismo che diventa  godimento intellettuale e morale attraverso l’allegoria. In questo, come sottolinea Dal Pozzolo, Paolo Veronese fu aiutato da una committenza colta e sofisticata, per niente prigioniera di una moralistica pruderie, ma pronta a celebrare sì, la vittoria della virtù sul vizio (come nel caso delle Allegorie dell’amore di Londra); ma è anche vero che la vittoria sulle passioni può essere, si capisce, il vertice più perverso della seduzione. D’altra parte, l’erotismo come affermazione del potere dell’uomo sulla donna prende i toni del tragico nel dipinto di Giuditta con la testa di Oloferne di Genova, con quel bellissimo contrasto di luce e ombra fra l’eroina biblica e la fantesca, e il digradare dei piani, dalla mano di questa che indica una sorta di via d’uscita al corpo del decollato, e sullo sfondo la tenda scura che s’apre verso il cielo soltanto sull’angolo alto di destra costruendo una spazialità concava attorno alle figure del dramma.Infine, la religiosità per Veronese è quasi un fatto naturale. Non problematico, per così dire. Egli si rende docile alle richieste della committenza, vuole che il quadro parli la lingua biblica. Aikema sottolinea, ed è una notazione importante, che Veronese non fu mai legato dall’esclusiva con un ordine religioso, anche se lavorò spesso per benedettini e girolamini. La ricerca dell’esemplarità nel ductus narrativo, si nota per esempio nella Predica del Battista della Galleria Borghese, dove la tavolozza è meno veronesiana del solito (sembra anzi risentire del manierismo toscano, come in parte anche il Battesimo di Cristo proveniente da Palazzo Pitti). Se Veronese dà l’impressione di voler essere fedele al dettato evangelico, tuttavia raramente si lascia prendere dal pathos. Il Cristo morto sostenuto dagli angeli di Berlino è un capolavoro di cromatismi e chiaroscuro, ma è raggelato in una bolla d’inespressività. In definitiva, il pittore non è interessato a discutere le richieste della committenza, si mette al suo servizio. L’unica cosa che sembra interessargli (perché biasimarlo poi?) è come il tema possa consentirgli quella sperimentazione che aveva praticato fin da giovane, quando sul magistero di Giulio Romano, aveva spinto ancora più in profondità lo spazio, fondendo in una nuova realtà la vertigine prospettica e l’astratto, quasi ectoplasmico, splendore dei colori.
 
Verona, palazzo della Gran Guardia
Paolo Veronese
L’illusione della realtà
Fino al 5 ottobre
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