venerdì 2 settembre 2016
Tunisia, spazzatura sopra la kasba
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​La Medina araba è da secoli un organismo urbano autosufficiente, un luogo stratificato di manufatti, merci e uomini prepotentemente segnato dalla presenza del sacro: moschea e medresa si giustappongono integrandosi con il souk, il founduk e la kasba. Ma per noi viaggiatori d’Occidente, Medina sarà sempre l’incarnazione del Labirinto.Dalle cavità profonde e dagli incanti della Medina di Fes, attraverso quella arabo-andalusa di Tetouan  e di Tangeri in Marocco, ero giunto finalmente alla regina di tutte le kasbe, quella di Algeri per girarvi un film documentario, che fosse innanzitutto un omaggio alla memoria cinematografica della kasba stessa: Il bandito della Casbah di Julien Duvivier e La battaglia di Algeri di Gillo Pontecorvo, il racconto romantico di una fuga nell’esotico del labirinto che ti protegge dal mondo esterno e la cronaca di una lotta di popolo per la sua liberazione. Ma la kasba di oggi è piuttosto un luogo di silenzio e di vuoto, in cui i singoli fotogrammi filmici sembrano smarrirsi in un oblio senza più storia. Ora sono giunto a Tunisi a un anno e mezzo dalla tragedia del Bardo e la sua immensa medina mi accoglie nella sua calma mediterranea, nell’indimenticabile intrico di luci e di ombre che è un gioco perpetuo tra l’elevazione spirituale della fede religiosa e la condizione materiale dello scambio di beni. Con i suoi vicoli ciechi, gli androni misteriosi, i sottopassaggi, e i cortili interni dove si svolge la vita reale dei suoi abitanti. Ma la grande medina è disseminata ovunque, con poche eccezioni, di cumuli di spazzatura, piccole discariche che gli abitanti creano sempre negli stessi luoghi come se tutto fosse stabilito da un tacito e collettivo accordo.In tutto il Paese la massiccia presenza di spazzatura sembra incidere il paesaggio come un’eventualità inesorabile. Hanno vinto, per il momento, l’indifferenza e l’individualismo più aggressivo di chi, dopo la rivoluzione, ha creduto in un’idea equivoca di libertà personale – mi dice Mohamed Challouf, regista, produttore e animatore culturale che incontro a Sousse, sua città natale, luogo del secondo attacco terroristico del giugno 2015. Lui parla di crisi economica ancor prima che politica, di un cupio dissolvi della cultura del suo Paese, insomma, di un declino della vita sociale e della coscienza collettiva e civica.Camminando lungo le strade vicino alla spiaggia della Goulette, in direzione del vecchio quartiere "Piccola Sicilia", incontro le mura poderose della fortezza ottomana, che sembra una delle numerose reliquie di un passato remoto di cui nessuno pare più curarsi. La porta d’ingresso è stranamente aperta e al mio sguardo si spalanca un vuoto desolante fatto di cemento e baracche assiepate a ridosso del perimetro murario. L’arena, un tempo utilizzata per spettacoli all’aperto, si è trasformata in una piccola baraccopoli. Un tempo la comunità italiana era florida e numerosa: da qui era partita la bellissima Claudia Cardinale in cerca di una fortuna ampiamente meritata.Prima di raggiungere il Bardo, non solo per vedere i mosaici più belli dell’antichità ma per rendere omaggio alle vittime del terrorismo (18 marzo 2015), allungo la strada in direzione di Sidi Bou Said, località incantevole a picco sul mare, non molto distante dal sito su cui fu fondata Cartagine. Il taxi corre in strade contornate di ville sontuose e di brandelli di storia antica distribuiti su un vasto territorio di pura luce mediterranea. In alto sulla collina vi è anche il palazzo del barone Rodolfo d’Erlanger (1872-1932), che amava dilettarsi con l’oud arabo al punto che la sua residenza fu trasformata dal 1991 nel Centro di musiche arabe e mediterranee.Al Bardo si accede mediante un vasto spiazzo che prima dell’attentato era costantemente battuto da pullman stracolmi di turisti. Ora non c’è quasi più nessuno. Il veto sulla Tunisia è calato come una ghigliottina. Un giudizio senza appello dettato dalla paura e dall’ignoranza, che ha messo ingiustamente in ginocchio il Paese. E nell’atrio immenso che prelude al museo vero e proprio, una lapide con i 24 nomi delle vittime… Scopro, inoltre, che l’antico palazzo del bey che ospita l’imponente collezione è come involucrato in una grande e suggestiva struttura architettonica di stile razionalista che fa dell’intero complesso un unicum "siamese" e questo, in un certo senso, mi aiuta a superare la tristezza che quel luogo ha suscitato in me.
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